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Indagini su Frodi Assicurative-Le investigazioni antifrode assicurativa sono finalizzate a documentare la veridicità di ogni tipologia di sinistro, mediante accertamenti investigativi su eventi e comportamenti. Chiama Agenzia IDFOX Investigazioni -Esperta nelle indagini Antifrode Assicurativa.
La Divisione Antifrode Assicurativa Agenzia Idfox ® srl Since 1991 mette a vostra disposizione personale appositamente formato e professionisti del settore assicurativo, al fine di prevenire e reprimere diverse tipologie di illeciti; siamo specializzati nel contrastare il fenomeno delle truffe assicurative (art. 642 c.p.) individuando chi, con frodi o raggiri, tenta ingiusti profitti con presunti sinistri (incendi, sinistri stradali, finti infortuni e altro ancora) a danno delle Compagnie Assicurative.
Siamo autorizzati dalla prefettura di Milano, accreditati presso gli 'Ordine degli Avvocati, di varie città italiane, e partner di primarie compagnie assicurative e specializzati nell'antifrode sinistri; operativi da oltre 30 anni.
Con oltre 400 corrispondenti online tra agenzie investigative e/o privati detective autorizzati dalle autorità dei loro paese e da circa 130 agenzia investigative autorizzate ed esperte nell'antifrode sinistri nel territorio Italiano.
Il team dell’Agenzia investigativa IDFOX utilizza tutte le opportune tecniche nell’attività di intelligence, ricercando mezzi e sistemi sempre all’avanguardia.
L'efficienza e professionalità del nostro team fornirà risposte rapide e precise a tutte le tue domande, senza perdite di tempo!
L’agenzia IDFOX è apprezzata dai clienti per i risultati ottenuti, si distingue per la sua riservatezza, caratteristica fondamentale per le Indagini investigative professionali!
La nostra missione è dare voce ai nostri clienti! Tutte le investigazioni vengono supportate con la raccolta di prove documentate valide per uso legale!
Anni di Esperienza nel Settore
Paesi in cui svolgiamo le nostre indagini
NETWORK di agenzie investigative fiduciarie collegate on-line nel territorio italiano.
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L’agenzia IDFOX è correntemente diretta dalla Dottoressa Margherita Maiellaro.
La direttrice ha maturato un’esperienza pluriennale nel campo investigativo ed ha conseguito una Laurea in Giurisprudenza, con specializzazione in diritto internazionale, presso l’Università Bocconi.
L’agenzia investigativa IDFOX Investigazioni è stata fondata da Max Maiellaro.
Il fondatore, con oltre 30 anni di esperienze investigative maturate nella Polizia di Stato, già diretto collaboratore del Conte Corrado AGUSTA, ex Presidente dell’omonimo Gruppo AGUSTA SpA, è stato inoltre responsabile dei servizi di sicurezza di una multinazionale, nonché presso vari gruppi operanti in svariati settori quale metalmeccanici, chimica, oreficeria, tessile, alta moda, elettronica e grande distribuzione, ha sempre risolto brillantemente ogni problematica investigativa connessa a: infedeltà aziendale, ai beni, marchi e brevetti, concorrenza sleale e alla difesa intellettuale dei progetti, violazione del patto di non concorrenza, protezione know-how e tutela delle persone e della famiglia, nonché referente abituale di imprenditori, manager, multinazionali e studi Legali su tutto il territorio Italiano ed anche Estero.
Il team dell’agenzia IDFOX è formato da ex appartenenti alle Forze di Polizia, i quali si avvalgono di mezzi e tecniche sempre all’avanguardia e al passo con le nuove tecnologie, vantando conoscenze approfondite e certificate nel campo dell’intelligence. L’agenzia investigativa IDFOX fornisce documentazioni valide per uso legale, tra le quali: perizie e relazioni tecniche; servizi di osservazione documentati con foto e video.
Ha sempre risolto brillantemente ogni problematica investigativa connessa a: infedeltà aziendale, indagini antifrode assicurative e commerciali, ai beni, dai marchi e brevetti dalla concorrenza sleale e alla difesa intellettuale dei progetti, violazione del patto di non concorrenza, protezione know-how ed alla tutela delle persone e della famiglia.
Il team dell’Agenzia Agenzia investigativa IDFOX, formato da ex appartenenti delle Forze di Polizia, utilizza tutte le opportune tecniche nell’attività di intelligence, ricercando mezzi e sistemi sempre all’avanguardia. Tutti i nostri servizi sono documentati con relazioni tecniche corredate di foto, filmati e documenti validi per uso Legale.
IDFOX ® srl è GARANZIA DI PROFESSIONALITA’ RISERVATEZZA E RISULTATI GARANTITI!
Osservando i dati pubblicati dal sito ACI.it si apprende che negli anni scorsi sulle strade italiane, si sono registrati 172.553 incidenti con lesioni a persone, che hanno causato 3.334 decessi e 242.919 feriti. Rispettivamente 472 incidenti, 9 morti e 665 feriti in media ogni giorno.
Questi dati, oltre a far riflettere sull’andamento dell’incidentalità stradale, denotano un assurdo primato degli incidenti nel nostro Paese, incremento verificatosi principalmente nelle aree urbane. Le azioni del controllo su strada, con l’avvento delle nuove normative ed in particolare della legge sull’omicidio stradale, ha posto sugli operatori di settore una maggiore responsabilità, soprattutto nella rilevazione di un sinistro stradale.
l'Agenzia Investigativa International Detectives Fox – IDFOX Since 1991, è specializzata nell'antifrode sinsitri ed ha esperienza investigativa ultra trentennale, siamo in grado di fornire un valido supporto alle Compagnie Assicurative attraverso indagini ad hoc per accertare l’esatta dinamica dei sinistri avvenuti ed escussione delle persone coinvolte ed è svolta attraverso l’acquisizione degli atti presso le autorità eventualmente intervenute, la ricerca dei testimoni e verifica delle dichiarazioni rese dalle parti interessate, ricostruzione cinematica presso il luogo del sinistro corredato di rilievi fotografici, nonché accertamenti su mezzi e/o soggetti, attivando anche osservazioni statico-dinamiche su eventuali lesionati oppure scovare presunti soggetti deceduti, per incassare polizze milionarie.
Le nostre indagini sono utili per accertare la veridicità dell’evento e consentire in tempi brevi la corretta istruzione del sinistro. Al termine delle indagini verrà rilasciato, alla Compagnia Assicurativa, un dettagliato report probatorio ad uso legale, contenete tutte le notizie raccolte: ricostruzione del sinistro, eventuali verbali acquisiti, dichiarazioni rese e altri elementi utili.
IDFOX Srl International Detectives Fox® - SINCE 1991
Via Luigi Razza 4 – 20124 – Milano
Tel: +39 02344223 (R.A.)
Aut.Gov. n.9277/12B15E
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La Corte di Cassazione, con la sentenza che qui si commenta, si è pronunciata su alcuni aspetti della funzione che assume la relazione investigativa, eseguita su incarico della compagnia assicurativa, nel procedimento volto all’accertamento del reato di “frode assicurativa” (art. 642 c.p.).
La norma incriminatrice, rubricata “fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona” recita: “Chiunque, al fine di conseguire per sé o per altri l’indennizzo di una assicurazione o comunque un vantaggio derivante da un contratto di assicurazione, distrugge, disperde, deteriora od occulta cose di sua proprietà, falsifica o altera una polizza o la documentazione richiesta per la stipulazione di un contratto di assicurazione è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Alla stessa pena soggiace chi al fine predetto cagiona a sé stesso una lesione personale o aggrava le conseguenze della lesione personale prodotta da un infortunio o denuncia un sinistro non accaduto ovvero distrugge, falsifica, altera o precostituisce elementi di prova o documentazione relativi al sinistro.
Si procede a querela di parte. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche se il fatto è commesso all’estero, in danno di un assicuratore italiano, che eserciti la sua attività nel territorio dello Stato. Il delitto è punibile a querela della persona offesa”.
Per l’accertamento del fatto di frode assicurativa, spesso le compagnie assicurative si avvalgono della collaborazione di agenzie investigative. Pertanto, l’acquisizione della notitia criminis può avvenire anche a distanza di tempo dal momento in cui il reato si è consumato.
Si ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte Suprema, il delitto di frode assicurativa è da ritenersi a consumazione anticipata e si ritiene commesso nel momento in cui l’assicurato compie le condotte indicate nella norma incriminatrice, essendo invece irrilevante - ai fini della consumazione – l’aver conseguito il risarcimento assicurativo.
Con la sentenza qui commentata, la Corte Suprema ha ritenuto – dichiarando inammissibile sul punto il motivo di ricorso proposto – che il dies a quo per la proposizione della querela da parte della compagnia assicurativa è da individuarsi nel momento della “conoscenza della ultima relazione investigativa” che ha permesso “di acquisire certezza della falsità del sinistro denunciato”
Si è quindi ribadito, facendone applicazione anche nel reato de quo, il principio secondo cui “il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cui il titolare ha conoscenza certa, sulla base di elementi seri e concreti, del fatto – reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva” (così anche Sezione 2 Penale nr. 37584 del 05/07/2019 Rv. 277081).
Quanto alle forme di cui agli artt. 391 bis c.p.p. che, secondo il ricorrente, avrebbero dovuto essere seguite per l’acquisizione delle informazioni rese in sede di relazione investigativa e quindi per il loro conseguente utilizzo nel processo, la Corte ha rilevato come l’attivazione della disciplina delle investigazioni difensive non possa essere richiesta perché incompatibile con il momento dell’acquisizione delle suddette informazioni (allorquando non era ancora iscritto né era pendente alcun procedimento penale). Tale conclusione pare però non confrontarsi con la disposizione dell’art. 391 nonies c.p.p. che prevede la possibilità di svolgere attività investigativa “preventiva” vale a dire “per l’eventualità che si instauri un procedimento penale”.
Il 50% dei sinistri denunciati in Italia è a rischio frode Assicurativa!
Nel 2016 vi è stato un convegno tra le associazioni degli investigatori privati ed i responsabili di antifrode sinistri delle varie compagnie assicurative, dove sono state analizzate le problematiche dei finti sinistri e le proposte per risolvere il problema.
E' stato quindi costituito l’archivio Integrato Antifrode (AIA) al fine di consentire alle imprese di disporre di un sistema comune per l’accesso ai dati sui sinistri e altri dati accessori utili all'identificazione e gestione dei sinistri fraudolenti; sulla base dei dati AIA viene calcolato un set di indicatori, al momento 22, cui far riferimento per contrastare i fenomeni fraudolenti nel ramo r.c. auto.
Per combattere l’allarmante fenomeno delle frodi assicurative nella r.c. le compagnie assicurative sono obbligate a trasmettere all’IVASS (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni), con cadenza annuale, una relazione contenente informazioni dettagliate circa le attività svolte per contrastarle. A tale scopo le imprese di assicurazione si rivolgono sempre più spesso alle agenzie investigative che, grazie alla loro attività investigativa sul campo, permettono di mettere in luce i casi di frode.
Negli ultimi anni le richieste di risarcimento danni sono aumentate in modo sproporzionato, si è reso necessario quindi esternalizzare le operazioni di “accertamento” con la figura dell’investigatore privato, dotato di abilitazione alle indagini private in ambito assicurativo, unica figura professionale attualmente esistente in Italia preposta a questo tipo di attività, finalizzata a far emergere elementi tali da far definire artefatta la richiesta di risarcimento danni avanzata.
Il professionista incaricato deve essere in possesso di abilitazione in quanto deve avere, come minimo, delle nozioni tecniche per poter valutare l’attendibilità delle dinamiche dei sinistri stradali e la compatibilità dei danni lamentati, una profonda conoscenza del codice della strada e del codice delle assicurazioni.
1. - L’ATTIVITÀ ANTIFRODE DELL’IVASS
1.1. - Numeri dell’attività antifrode dell’IVASS e l’Archivio Integrato Antifrode
Nel 2021 sono pervenute 22 segnalazioni da persone fisiche (46 nel 2020), per presunti fenomeni di illegalità, tra cui casi rilevanti di furti d’identità. A seguito di approfondimenti, sono state fornite le opportune informazioni all’Autorità Giudiziaria.
Sono state trattate 36 segnalazioni pervenute dalle Autorità e 117 richieste di accertamento delle coperture assicurative r.c. auto per veicoli sprovvisti di documentazione assicurativa in seguito a controlli su strada (rispettivamente 27 e 163 l’anno precedente).
Gli accessi agli atti sono stati 535 (528 nel 2020) e hanno riguardato in 350 casi i dati personali (361), in 91 dati di terzi (53) e 94 richieste delle autorità (114).
Sono state rilasciate 91 abilitazioni per nuovi utenti alla consultazione della BDS (94 nel 2020), su istanza di 18 imprese e 52 abilitazioni di personale di strutture di Polizia giudiziaria e locale (81 nel 2020).
Sono state lavorate circa 400 richieste di riattivazione o disabilitazione da imprese e altri Enti (700, nel 2020).
Una lista di 94 imputati. E dieci compagniendi assicurazione individuate come parti lese.
Sono questi i numeri finali dell’indagine con la quale la Polizia Stradale ha inquadrato le manovre di una presunta organizzazione che avrebbe lucrato sul “business” degli incidenti falsi.
Per gli imputati infatti, è giunta la richiesta di rinvio a giudizio firmata dal pubblico ministero Remo Epifani e il prossimo 17 aprile tutti dovranno presentarsi nell’aula bunker del quartiere Paolo VI per il primo appello dell’ udienza preliminare dinanzi al giudice Gianna Martino.
Sarà il magistrato a vagliare la richiesta di rinvio a giudizio con la quale il pm Epifani ha definito la maxi indagine. A carico di tredici imputati il pm ha ipotizzato la contestazione di associazione per delinquere. Oltre ai due presunti promotori, nella presunta organizzazione figurano quattro legali e due medici. Secondo gli investigatori della Polizia Stradale, il gruppo costituirebbe l’apice dell’associazione per delinquere, con base a Taranto, che si sarebbe specializzata nel fabbricare incidenti stradali a tavolino con lo scopo di raggirare le assicurazioni, spillando risarcimenti non dovuti grazie alla presentazione di documenti falsificati. Carte fabbricate appositamente, secondo la tesi degli inquirenti, per sostenere danni a mezzi e a persone in sinistri mai avvenuti.
L’indagine della Polizia Stradale esplose ad aprile dello scorso anno con la notifica delle misure cautelari disposte dal gip Giovanni Caroli su richiesta del pm Epifani.
Quel giorno ai domiciliari finirono i presunti promotori della “stangata, due uomini e una donna, tutti tarantini, mentre per gli avvocati e i medici ritenuti complici del raggiro, il gip dispose la misura interdittiva della sospensione dall’attività professionale.
I legali, stando alle contestazioni, avrebbero gestito le pratiche di risarcimento, mentre i medici avrebbero fornito le certificazioni prodotte a sostegno delle istanze, ritenute indispensabili per trarre in inganno le compagnie e ottenere i risarcimenti ritenuti “indebiti”, attraverso la presentazione di denunce alle dieci compagnie individuate come parte offesa del procedimento.
Per loro l’accusa, come si è detto, è rimasta quella iniziale di associazione per delinquere finalizzata alla truffa assicurativa.
Gli altri imputati per i quali è stato richiesto il rinvio a giudizio, invece, già all’epoca vennero denunciati a piede libero, con le accuse, contestate a varo titolo, di frode assicurativa, falsa testimonianza e falso in atto pubblico.
Sul termine presentazione della querela per il delitto di frode assicurativa e sulla utilizzabilità delle dichiarazioni contenute nella relazione investigativa della compagnia assicurativa
La Corte di Cassazione, con la sentenza che qui si commenta, si è pronunciata su alcuni aspetti della funzione che assume la relazione investigativa, eseguita su incarico della compagnia assicurativa, nel procedimento volto all’accertamento del reato di “frode assicurativa” (art. 642 c.p.).
Per l’accertamento del fatto di frode assicurativa, spesso le compagnie assicurative si avvalgono della collaborazione di agenzie investigative. Pertanto, l’acquisizione della notitia criminis può avvenire anche a distanza di tempo dal momento in cui il reato si è consumato.
Con la sentenza qui commentata, la Corte Suprema ha ritenuto – dichiarando inammissibile sul punto il motivo di ricorso proposto – che il dies a quo per la proposizione della querela da parte della compagnia assicurativa è da individuarsi nel momento della “conoscenza della ultima relazione investigativa” che ha permesso “di acquisire certezza della falsità del sinistro denunciato”
Quanto alle forme di cui agli artt. 391 bis c.p.p. che, secondo il ricorrente, avrebbero dovuto essere seguite per l’acquisizione delle informazioni rese in sede di relazione investigativa e quindi per il loro conseguente utilizzo nel processo, la Corte ha rilevato come l’attivazione della disciplina delle investigazioni difensive non possa essere richiesta perché incompatibile con il momento dell’acquisizione delle suddette informazioni (allorquando non era ancora iscritto né era pendente alcun procedimento penale). Tale conclusione pare però non confrontarsi con la disposizione dell’art. 391 nonies c.p.p. che prevede la possibilità di svolgere attività investigativa “preventiva” vale a dire “per l’eventualità che si instauri un procedimento penale”.
Licenziamenti: attenzione all’uso di investigatori esterni per controlli aziendali. La Cassazione stabilisce limiti sull’uso di detective.
L’impiego di investigatori privati è giustificato quando sorgono sospetti riguardo al comportamento di un dipendente all’esterno dell’azienda. Secondo la giurisprudenza, il datore di lavoro ha il diritto di supervisionare direttamente le attività dei suoi dipendenti. Tuttavia:
* se il controllo avviene in azienda (quindi durante l’orario di lavoro), esso può essere effettuato solo con personale interno di vigilanza (art. 3 dello Statuto dei lavoratori). Il datore di lavoro è obbligato a comunicare ai lavoratori interessati i nominativi e le mansioni specifiche del personale specificamente addetto alla vigilanza sull’attività lavorativa e sul comportamento del lavoratore di cui si avvale.
* se il controllo avviene fuori dall’azienda (quindi al termine dello svolgimento delle mansioni), esso può essere effettuato da soggetti esterni all’azienda stessa: si tratta cioè di agenzie investigative private. Anche in questo caso, il dipendente ha diritto a conoscere i nomi dei detective che lo hanno pedinato.
Il controllo degli investigatori privati può anche essere occulto. Diversamente risulterebbe del tutto inutile.
Non si tratta quindi di un controllo su un mero inadempimento della prestazione lavorativa, ma su condotte che incidono sul patrimonio aziendale quale l’immagine (si pensi a un lavoratore che discredita il datore) o l’organizzazione (si pensi a un lavoratore che si dà malato pur non essendolo).
Le agenzie investigative possono essere impiegate non solo quando si sospetta o si ha la certezza di attività illecite già commesse, ma anche in presenza di sospetti o ipotesi di comportamenti illeciti in corso.
L'agenzia si trova a Godrano e l'inchiesta della guardia di finanza è scattata in seguito alle denunce di diversi cittadini che, pur avendo pagato una polizza, si sono ritrovati con i mezzi sequestrati perché scoperti.
Una truffa probabilmente da centinaia di migliaia di euro, quella che sarebbe stata ordita da un broker assicurativo di Godrano che, secondo la guardia di finanza, avrebbe rilasciato circa 1.850 contratti fasulli ad altrettanti clienti.
L'uomo è indagato per truffa e anche per esercizio abusivo della professione, in quanto non sarebbe iscritto al Registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi (Rui), gestito dall'Istituto di vigilanza sulle assicurazioni (Ivass).
In base alla ricostruzione dei militari della Compagnia di Bagheria, coordinati dalla Procura di Termini Imerese, l'indagato avrebbe consegnato ai suoi clienti dei contratti assicurativi con date di scadenza modificate per allungarne la durata. L'assicuratore avrebbe utilizzato un metodo decisamente artigianale e rudimentale: avrebbe infatti modificato i riferimenti temporali presenti sui documenti cancellando col bianchetto la data di scadenza. I contratti sarebbero stati a quel punto scannerizzati e modificati al computer, con un programma di alterazione digitale. Così i numerosi clienti dell'agenzia di Godrano, attratti dai prezzi molto vantaggiosi praticati dal broker, pur pagando dei contratti assicurativi di durata annuale, si sarebbero ritrovati con coperture semestrali o, nel peggiore dei casi, i loro veicoli non sarebbero stati affatto assicurati. Da qui poi i sequestri che hanno fatto partire le denunce.
In caso di tradimento coniugale il partner infedele rischia di subire non solo l'addebito della separazione, ma anche il risarcimento dei danni in favore del proprio (ex) coniuge.
In particolare il risarcimento danni per tradimento coniugale può essere richiesto in sede civile, quando l'infedeltà, magari non rivelata dal partner ma scoperta da terzi o attraverso i social, lede la dignità e la reputazione del coniuge tradito, al punto tale da provocare effetti devastanti sul suo stato di salute.
Come detto in premessa il partner infedele rischia l'addebito della separazione ma non solo, se gli fosse spettato può perdere il diritto all'assegno di mantenimento, inoltre il coniuge infedele potrebbe essere tenuto anche ad un risarcimento dei danni non patrimoniali (ex art. 2059 c.c.).
A tal fine è importante che il coniuge tradito riesca a dimostrare che le modalità con cui l'infedeltà si è manifestata, ha comportato ripercussioni sul suo stato di salute ed ha leso il suo diritto alla reputazione e all'immagine.
Ai fini del risarcimento danni per tradimento coniugale, occorre fornire prove concrete non solo sull'entità dei danni subiti, ma anche sul nesso di causalità tra il comportamento infedele del coniuge, con tutto quello che ne è conseguito, e i danni subiti.
Il risarcimento successivo all’incidente stradale non spetta solo ai conviventi: conta il legame affettivo, non solo il legame di sangue.
In linea generale, in caso di perdita definitiva del rapporto parentale a seguito di morte, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subìto.
Esso è comprensivo sia del “danno morale” che di quello “dinamico-relazionale”,
Come chiarito dalla Cassazione (sent. n. 10335/2023), ai fini di tale risarcimento non rileva necessariamente la convivenza: essa infatti non è l’unica forma attraverso cui si manifesta l’intimità dei rapporti parentali. Anche i familiari non conviventi possono aver diritto al risarcimento se forniscono la prova dell’ampiezza e della profondità del vincolo affettivo che li legava al deceduto. È proprio l’intensità di tale rapporto a determinare l’ammontare del risarcimento.
Questo significa che certamente i familiari che vivevano insieme alla vittima avranno diritto a un risarcimento maggiore poiché l’intensità del loro legame viene presunta attraverso la convivenza stessa. Sorprendentemente però anche i familiari non conviventi (ad esempio i nipoti) possono avere diritto a un risarcimento se riescono a dimostrare un intenso legame affettivo con la vittima (visite periodiche, telefonate frequenti, cure, ecc.).
Pensiamo a una famiglia in cui un nonno, nonostante non viva con il nipote, passa molto tempo con lui, insegnandogli diversi mestieri o condividendo momenti speciali. Anche se i due non vivono sotto lo stesso tetto, il legame affettivo potrebbe essere molto più forte rispetto a un parente con cui si condivide solo il tetto. Questo garantirebbe al nipote il diritto al risarcimento se il nonno dovesse decedere a seguito di un incidente o altro fatto illecito.
Passando in rassegna le notizie che riguardano i casi più recenti non solo si ha la conferma dell’ampia diffusione di questo malcostume nel nostro Paese, frutto di antichi vizi, ma indubbiamente agevolato da un lassismo non meno imperante, in tutte le Regioni italiane.
Ad esempio, può capitare di trovare un avvocato a capo di un sodalizio organizzato composto da familiari e da moltissimi “fiancheggiatori” pronti a prestarsi indifferentemente ai ruoli di danneggiato, di testimone o di responsabile di decine sinistri in realtà mai avvenuti, ma “costruiti a tavolino” sulla base di moduli C.A.I. ideologicamente falsi, di certificazioni mediche e di fatture di riparazioni anch’esse falsificate, dando luogo ad almeno un centinaio di cause ed a molte sentenze.
Di meglio e di più facevano però due medici dell’Ospedale Loreto a mare che, dopo esser finiti sotto inchiesta per assenteismo, sono stati oggetto di nuove indagini perché, in combutta con alcuni tecnici di radiologia, due centri clinici convenzionati e tre infortunistiche, avrebbero sfornato referti di esami diagnostici (TAC e altri) ideologicamente falsi, anche se formalmente emessi dai reparti di appartenenza, per supportare richieste di risarcimento relative a sinistri “letteralmente inventati”.
E’ poi accaduto che un ignaro quarantesienne di Aurisina (Trieste) si sia visto coinvolgere in una dozzina di sinistri stradali, apparentemente avvenuti nel giro di due mesi, ma in realtà simulati da un gruppo di una dozzina di napoletani che avevano pensato bene di intestargli due motociclette.
Insomma, in questa materia di frodi assicurative, la fantasia e la creatività dei malintenzionati non hanno davvero limiti.
Una maxi truffa da quasi due milioni di euro alle compagnie di assicurazioni con finti incidenti stradali.
È la truffa scoperta dalla Polstrada, che vede coinvolti carrozzieri reatini e uno studio di infortunistica stradale, di cui gli inquirenti non hanno fatto il nome. Il 23 novembre l’udienza preliminare per i 37 imputati.
Nel corso delle indagini gli imputati avrebbero richiesto e ottenuto, oltre al risarcimento dei danni fisici e materiali derivanti da incidenti stradali in realtà mai accaduti, anche l’indennizzo per spese mediche per lesioni fisiche mai subite. La complessa attività di indagine è iniziata nel 2019 dalla polizia giudiziaria della Polizia Stradale e coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica Edoardo Capizzi.
Come tutelarsi e stipulare una polizza in totale sicurezza
Scopri come riconoscere una falsa assicurazione ed evita le truffe online.
Tutela truffe assicurative
Che cosa sono le truffe assicurative e come riconoscerle
Essere vittima di una frode assicurativa significa acquistare una polizza presso intermediari non regolarmente autorizzati e pagare per una copertura che non verrà realmente garantita da imprese o compagnie assicurative.
Il reato per truffa assicurativa è regolato dall'articolo 642 del Codice penale: è punibile per truffa assicurativa chi "distrugge, disperde, deteriora od occulta cose di sua proprietà, falsifica o altera una polizza o la documentazione richiesta per la stipulazione di un contratto di assicurazione".
Le truffe assicurative sono piuttosto frequenti e possono verificarsi in diverse modalità e attraverso diversi canali.
Ecco i casi più comuni:
* Falsi intermediari assicurativi
* Falsi operatori telefonici
* Email contraffatte
* Siti internet non ufficiali
Per quanto riguarda le truffe online, l'IVASS, l'Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni, ha stilato un elenco dei siti truffa a cui fare attenzione. Per questi e per tutte le altre situazioni, la cosa più importante da fare è rivolgersi alle Autorità (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza) e sporgere denuncia per truffa subita.
Cosa fare se riconosci dei truffatori o sei vittima di una frode assicurativa
Come tutelarsi dalle truffe assicurative
Per evitare le frodi e acquistare una polizza in tutta sicurezza, puoi sempre verificare online l'affidabilità di un'assicurazione e risolvere dubbi o sospetti.
Ecco alcuni consigli pratici:
* Acquista online solo sui siti ufficiali di agenzie e compagnie riconosciute
* Acquista di persona solo presso gli uffici di intermediari registrati
* Utilizza solo i recapiti ufficiali (email e telefono) per entrare in contatto con agenzie, compagnie e intermediari registrati
Sul sito di IVASS è disponibile anche il registro unico degli intermediari IVASS: è l'elenco sempre aggiornato di agenzie e compagnie autorizzate alla vendita di polizze e prodotti assicurativi.
L'inchiesta: sotto accusa un tabaccaio, un carrozziere e due avvocatesse
Decine di falsi incidenti stradali per "sfilare" denaro alle compagnie assicurative, una persona di Colleferro in carcere e due medici ai domiciliari, un impianto sportivo sequestrato, l'ipotesi di associazione per delinquere finalizzata alla truffa assicurativa e circa venti condanne già patteggiate. È una maxi operazione quella che ieri la polizia di Colleferro ha eseguito su ordine del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Velletri. In attesa di essere interrogato è finito in carcere un commerciante del posto. Proprio lui è ritenuto dalla Procura di Velletri il capo di un'organizzazione che avrebbe simulato decine di falsi incidenti stradali al fine di incassare i premi delle assicurazioni. Inoltre il gip ha spedito ai domiciliari otto persone, tra cui due medici di libera professione, uno dei quali un ex primario dell'ospedale di Colleferro. Nella vicenda anche le ipotesi di spaccio e autoriciclaggio, per le quali sarebbe indagato il solo capo della presunta associazione per delinquere, D.C., tabaccaio di Colleferro.
I fatti risalgono a un principio di incendio del 2017: cantiere prolungato per gonfiare le fatture
Vi sarebbe un caso che riguarda anche Ente Ospedaliero Cantonale nelle presunte truffe ai danni delle compagnie assicurative. Il nuovo caso è venuto a galla grazie a un’inchiesta di Falò. I fatti riguardano il principio di incendio, avvenuto il 30 gennaio 2017 nelle cucine dell’Ospedale San Giovanni di Bellinzona.
Alcuni ex operai di Sublimity, azienda che prestava personale interinale Belfor Ticino, specializzata nel risanamento post sinistri (come incendi, allagamenti e inquinamenti), hanno raccontato di essere stati costretti a nascondersi nel turno notturno per settimane, allo scopo di rallentare i lavori di risanamento e prolungare quindi il cantiere nel tempo. Sta di fatto che la fattura complessiva per una compagnia assicurativa è stata di quasi tre milioni di franchi.
Si tratta di un nuovo capitolo che va ad aggiungersi alla già corposa inchiesta del Ministero pubblico che vede indagata oltre una ventina di persone, tra cui due fratelli dirigenti della sede di Lumino di Belfor. I due, attraverso Sublimity, azienda (di cui sono azionisti) che prestava personale interinale a Belfor Ticino, sono accusati di aver gonfiato le fatture di alcune prestazioni e di avere fatturato prestazioni inesistenti. Per fare questo avrebbero corrotto anche degli ispettori sinistri di alcune compagnie assicurative.
Ricordiamo che Belfor Svizzera in questa vicenda si ritiene parte lesa. Come fatto da alcune compagnie assicurative, che si ritengono presumibilmente danneggiate da un grande raggiro, Belfor si è costituita accusatrice privata.
Nello stesso modo hanno agito anche i vertici dell’Ente Ospedaliero Cantonale che, dopo essere stati informati da Falò delle testimonianze raccolte, hanno avvisato il Ministero pubblico. L’EOC si è costituito accusatore privato recentemente.
Truffa dell’assicurazione, accusata da quaranta clienti per le polizze a lungo termine. La vicenda era esplosa ad agosto di due anni fa quando i carabinieri di Balzola avevano denunciato un’agente finanziaria
La vicenda era esplosa ad agosto di due anni fa quando i carabinieri di Balzola avevano denunciato un’agente finanziaria che avrebbe fatto sottoscrivere polizze di investimento a lungo termine. Le indagini erano partite dalla querela di due vittime, madre e figlia. Il rapporto finanziario tra le due e l’agente era iniziato circa due anni prima.
Erano state versate diverse somme in tranche anche da 50 e 40 mila euro, fino a investire 190 mila euro incamerati dall’agente e che poi, secondo le indagini dei carabinieri, erano stati distratti. Dopo due anni, quando il rapporto di fiducia era venuto meno, le vittime avevano cercato di revocare la fiducia all’assicuratrice ma riuscendo a recuperare solo 30 mila euro della cifra investita.
Sempre in quel periodo l’agente era stata denunciata da un ventottenne a cui aveva rubato 400 euro per il pagamento del premio assicurativo di un autocarro.
Il rinvio a giudizio è stato chiesto per l’assicuratrice Daniela Zanotto (54 anni) su cui pende l’accusa di truffa e di appropriazione indebita. La donna deve rispondere insieme a Walter Leva (74 anni) anche dell’accusa di favoreggiamento, entrambi difesi dall’avvocato Riccardo Vaccaro. Una terza persona, Danilo Pizzocaro (57 anni) con il legale Giampiero Berti, è accusato di calunnia. Le parti offese, poco meno di 40, sono assistite dall’avvocato Carlo Baccaredda Boy di Milano. L’udienza preliminare al Tribunale di Alessandria davanti al gup è stata rinviata al 15 giugno.
Truffare la compagnia di assicurazione auto per ottenere una liquidazione danni non è mai una buona idea perché le conseguenze sono anche di tipo penale
Inutile girarci troppo attorno perché si tratta di una vera e propria truffa assicurazione auto. Simulare un incidente mai avvenuto espone l’automobilista a seri rischi. Pensare di fare il furbo per farsi risarcire dall’assicurazione per un falso incidente non è mai una buona idea. Anche se può sembrare di semplice realizzazione rispetto ad altri modi condannabili per fare soldi illegalmente. Già, perché almeno in teoria è sufficiente mettersi d’accordo con una seconda persona. Un amico ad esempio. E poter contare su un carrozziere compiacente disposto a dichiarare il falso in cambio di un ritorno economico, e magari su un certificato medico che attesti conseguenze fisiche mai subite. In termini pratici basterebbe compilare il modulo di constatazione amichevole, inviarlo alla compagnia e attendere il risarcimento dei danni. Il punto è che sarebbe un errore credere nell’ingenuità delle compagnie di assicurazione. Va da sé che prima di pagare avviano tutti i controlli necessari e se riscontrano il tentativo di truffa scatta anche la denuncia penale. Non resta che approfondire.
FALSO INCIDENTE PER ASSICURAZIONE AUTO: COME AVVIENE
L’elenco delle possibili truffe ai danni dell’assicurazione auto è potenzialmente infinito. Perché ci sono gli incidenti coperti dalla Rc auto, ma anche tutti gli altri rischi coperti dalla polizza. Pensiamo ad esempio all’incendio o al furto. Tra i casi più comuni ci sono naturalmente quelli che passano dalla compilazione del modulo Cid per dichiarare e ricostruire la dinamica di un sinistro mai avvenuto. L’accompagnamento della denuncia con un falso certificato medico che attesta una lesione personale non può che rafforzare la posizione del truffatore. Ma anche lo stesso medico può essere raggirato, raccontandogli di aver subito un incidente stradale mentre i motivi della lesione sono da ricondurre ad altre circostanze. Poi si passa naturalmente al danneggiamento dei veicoli per simulare un sinistro stradale. Magari con tanto di documento falsi che attestino o esagerino l’entità delle riparazioni meccaniche. La presenza di falsi testimoni che avrebbero assistito all’incidente è un’altra carta utilizzata per rendere più credibile la truffa assicurazione auto.
TRUFFA ASSICURAZIONE AUTO: QUANDO SI CONSUMA
Punto di riferimento normativo sui tentativi di frode assicurazione auto è l’articolo 642 del Codice penale. Al primo comma si legge infatti che “chiunque, al fine di conseguire per sé o per altri l’indennizzo di una assicurazione o comunque un vantaggio derivante da un contratto di assicurazione, distrugge, disperde, deteriora od occulta cose di sua proprietà, falsifica o altera una polizza o la documentazione richiesta per la stipulazione di un contratto di assicurazione è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. Non solo, ma anche il secondo comma è centrale per inquadrare la questione. Viene infatti specificato che “alla stessa pena soggiace chi al fine predetto cagiona a sé stesso una lesione personale o aggrava le conseguenze della lesione personale prodotta da un infortunio o denuncia un sinistro non accaduto ovvero distrugge, falsifica, altera o precostituisce elementi di prova o documentazione relativi al sinistro. Se il colpevole consegue l’intento la pena è aumentata. Si procede a querela di parte”. In pratica, affinché si possa parlare di reato non occorre ottenere il risarcimento, ma mettere in piedi il tentativo di frode.
QUALI CONSEGUENZE PER LA FRODE ASSICURAZIONE AUTO
Lo abbiamo ricordato con la citazione dell’articolo del Codice penale sui tentativi di truffa assicurazione auto. Chi prova a mettere in piedi un raggiro di questo tipo è punito con la reclusione da uno a cinque anni. C’è però un aspetto procedurale da mettere in rilievo. Spetta alla compagnia di assicurazione presentare querela nei confronti dell’automobilista che ha denunciato un falso sinistro e chiesto un risarcimento danno non spettante. In caso contrario non potrebbe essere processato ed eventualmente condannato per il reato di frode assicurativa. Come argomentato dalla Corte di Cassazione (sentenza numero 27372 del 14 luglio 2022), “il reato di frode in assicurazione non ha natura plurioffensiva, in quanto è volto a tutelare esclusivamente il patrimonio delle imprese assicuratrici dai comportamenti contrari alla buona fede contrattuale”. In pratica, l’azione penale non può procedere senza la presentazione di formale querela.
Le nuove Tabelle 2022 del Tribunale di Milano, alla luce della Cassazione n. 10579/2021 con un sistema a punti, tengono conto ai fini del calcolo di alcune importanti circostanze specifiche come l'intensità del rapporto affettivo
Il Tribunale di Milano ha diramato le nuove tabelle (sotto allegate) relative al risarcimento del danno da perdita parentale. Le nuove Tabelle sono state elaborate nel rispetto dei nuovi principi affermati dalla Corte di Cassazione a partire dalla sentenza n. 10579 del 2021.
Per la loro elaborazione si è provveduto al monitoraggio di circa 600 sentenze di merito in materia di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale e alla luce dei risultati del monitoraggio si è stabilito che i punti attribuibili in astratto superino i 100 ovvero 118 e 116 "con un CAP pari al valore monetario massimo della forbice delle precedenti tabelle così consentendo la liquidazione del massimo valore risarcitorio in diverse ipotesi e non in un solo caso salva sempre la ricorrenza di circostanze eccezionali."
Liquidazione del danno con sistema a punti
Anche per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale il Tribunale di Milano ha deciso di ricorrere a una tabella basata sul sistema dei punti. Nei casi più gravi di perdita dei genitori dei figli del coniuge o di soggetti assimilati il valore del "punto" base è di euro 3365,00 mentre in caso di perdita di fratelli e nipoti il valore del "punto base" è di euro 1461,20.
Nel quantificare il danno però il Tribunale di Milano attribuisce particolare rilievo, in ossequio agli ultimi orientamenti giurisprudenziali in materia, a fatti e circostanze non secondarie come l'età della vittima, l'età di chi sopravvive, il grado di parentela e la convivenza.
Valorizzata l'intensità della relazione affettiva
Di particolare interesse ai fini della quantificazione del danno da perdita parentale è però il criterio che fa riferimento alla qualità e alla intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto.
In questo caso, ai fini della valutazione del danno, si terrà conto non solo della sofferenza interiore patito, ma anche dello stravolgimento della vita della vittima secondaria nella sua dimensione dinamico relazionale.
Avranno rilievo ai fini della determinazione dell'intensità della relazione affettiva le seguenti circostanze e ovviamente la loro frequenza:
* la frequentazione di due soggetti in presenza o anche in modalità telefonica o Internet;
* la condivisione di feste e ricorrenze;
* la condivisione delle vacanze, di attività lavorative, di passatempi o sport;
* l'attività di assistenza sanitaria e domestica prestata alla vittima primaria dalla vittima secondaria;
* l'agonia e la penosità derivanti dalla particolare durata della malattia della vittima primaria e della sua incidenza sulla sofferenza della vittima secondaria.
Tanto per fare un esempio, nel documento riportante le tabelle, il punteggio massimo relativo all'intensità della relazione affettiva potrà essere assegnato ad esempio quando un bambino di 5 anni perde un genitore. In casi come questi, di regola vi è convivenza, condivisione giornaliera di tutte le attività e dipendenza della vittima secondaria dalla vittima primaria.
La Corte di Appello di Bologna confermava una sentenza del Tribunale di Modena che, emessa all’esito di giudizio dibattimentale, condannava l’imputato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 642, secondo comma, cod. pen..
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento adottato dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che deduceva i seguenti motivi: 1) in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., mancanza della motivazione della sentenza impugnata; 2) in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., erronea applicazione dell’art. 642 cod. pen..
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era ritenuto inammissibile per le seguenti ragioni.
Si osservava a tal proposito innanzitutto, in ordine alla prima doglianza, che non integrava, di per sé, vizio della motivazione il fatto che la Corte d’appello di Bologna avesse richiamato le motivazioni della sentenza di primo grado del Tribunale di Modena atteso che la struttura argomentativa della sentenza di appello si può saldare con quella di primo grado, ricorrendo, in tal caso, la cosiddetta “doppia conforme” con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (tra le tante: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011).
Tal che se ne faceva discendere che tale motivo si appalesasse, pertanto, manifestamente infondato.
Ciò posto, a proposito della seconda doglianza, si osservava prima di tutto che l’art. 642 cod. pen., strutturato come una norma penale mista del tutto peculiare, prevede, nei suoi commi primo e secondo, cinque diverse fattispecie di reato — in particolare, il danneggiamento dei beni assicurati e la falsificazione o alterazione della polizza, nel comma primo; la mutilazione fraudolenta della propria persona, la denuncia di un sinistro non avvenuto e la falsificazione o alterazione della documentazione relativa al sinistro, nel comma secondo — che, ove ricorrano gli estremi fattuali, possono concorrere fra loro (Sez. 2, n. 1856 del 17/12/2013), rilevandosi al contempo che il legislatore, con la fattispecie in considerazione, ha inteso prevedere una tutela speciale e in qualche modo “rafforzata” a protezione del mercato delle assicurazioni, predisponendo la tutela anticipata nel caso in cui l’azione fraudolenta tipica del reato di truffa si innesti su un rapporto assicurativo; in altri termini, l’art. 642 cod. pen. costituisce, cioè, un’ipotesi criminosa speciale rispetto al reato di truffa di cui all’art. 640 cod. pen. considerato che, nel primo, sono presenti tutti gli elementi della condotta caratterizzanti il secondo e, in più, come elemento specializzante, il fine di tutela del patrimonio dell’assicuratore (Sez. 6, n. 2506 del 13/11/2003; Sez. 1, n. 4352 del 10/04/1997).
Oltre a ciò, era altresì notato che, da un lato, le fattispecie previste dall’art. 642 cod. pen. si presentano “speciali” rispetto all’archetipo della truffa perché predispongono una tutela anticipata e rafforzata del patrimonio delle società che gestiscono le assicurazioni, dall’altro, nel caso, come quello in oggetto, di denuncia di un sinistro stradale in realtà mai accaduto, tale fattispecie, come più volte affermato in sede di legittimità, non costituisce un reato “proprio“, attribuibile esclusivamente al contraente della polizza, essendo, invece, ravvisabile in capo a qualsiasi soggetto, anche estraneo al sinallagma, il quale, manipolando illecitamente il rapporto contrattuale, denunci, o concorra nel denunciare, il sinistro non accaduto (Sez. 2, n. 43534 del 19/11/2021; Sez. 2, n. 4389 del 11/10/2018).
Da ciò se ne faceva discende che in modo (ritenuto) corretto e logico i giudici di merito avevano ritenuto che l’imputato, presentando, per il tramite di altra persona da lui incaricato, richiesta di risarcimento del danno cagionatogli dal non accaduto sinistro, con allegata la relativa constatazione amichevole, avesse concorso nella denuncia del falso sinistro, materialmente da questi presentata e finalizzata, comunque, a fare ottenere il risarcimento del danno all’autore materiale.
Da qui, come già rilevato anche prima, se ne faceva discendere l’inammissibilità del ricorso e la contestuale condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro tremila.
Conclusioni
La decisione in oggetto desta un certo interesse in quanto sono ivi chiariti taluni aspetti del reato preveduto dall’art. 642 cod. pen..
Difatti, fermo restando che tale disposizione legislativa incrimina, come è noto, il fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e la mutilazione fraudolenta della propria persona, in tale decisione, si afferma, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che l’art. 642 cod. pen., strutturato come una norma penale mista del tutto peculiare, prevede, nei suoi commi primo e secondo, cinque diverse fattispecie di reato; in particolare, al primo comma è contemplato il danneggiamento dei beni assicurati e la falsificazione o alterazione della polizza mentre, nel comma secondo, è prevista la mutilazione fraudolenta della propria persona, la denuncia di un sinistro non avvenuto e la falsificazione o alterazione della documentazione relativa al sinistro, nel comma secondo che, ove ricorrano gli estremi fattuali, possono concorrere fra loro, rilevandosi al contempo, da un lato, che le fattispecie previste dall’art. 642 cod. pen. si presentano “speciali” rispetto all’archetipo della truffa perché predispongono una tutela anticipata e rafforzata del patrimonio delle società che gestiscono le assicurazioni, dall’altro, che, nel caso di denuncia di un sinistro stradale in realtà mai accaduto, tale fattispecie, come più volte affermato in sede di legittimità, non costituisce un reato “proprio“, attribuibile esclusivamente al contraente della polizza essendo, invece, ravvisabile in capo a qualsiasi soggetto, anche estraneo al sinallagma, il quale, manipolando illecitamente il rapporto contrattuale, denunci, o concorra nel denunciare, il sinistro non accaduto.
Tale provvedimento, quindi, con particolar riguardo al caso di c.d. frode assicurativa, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di individuare chi sono gli autori di questa fattispecie criminosa, e, rispetto a quali condotte costoro possano rispondere in ordine a siffatto illecito penale.
In quali casi ed in che modo è possibile ottenere il risarcimento dei pregiudizi non economici subiti.
Se ti è capitato di subire un danno vorrai probabilmente essere risarcito da colui che te lo ha procurato. Tale danno potrà essere qualificato come patrimoniale quando consiste in un pregiudizio di tipo economico. Si pensi alle spese mediche sostenute a seguito di un incidente stradale, o ancora, alle spese di riparazione dell’automobile.
Tuttavia, il concetto di danno non è solo quello economico. Può ben accadere, infatti, che oltre ai pregiudizi di tipo patrimoniale, un soggetto subisca anche dei pregiudizi non connotati da rilevanza economica. In questi casi, si parla di danni non patrimoniali. Quando è risarcibile il danno non patrimoniale? Tornando al caso dell’incidente stradale, le sofferenze patite a causa della perdita di un familiare vittima dell’incidente, o le lesioni alla salute subite, rientrerebbero senz’altro in tale nozione di danno.
In questo articolo, ti spiegheremo quando è risarcibile il danno non patrimoniale.
Danno patrimoniale: che cos’è?
Il danno è patrimoniale quando il danneggiato lamenta un pregiudizio ad un bene suscettibile di valutazione economica (per esempio, all’automobile). Si tratta cioè di una perdita economica subita che deve essere quantificata sia in termini di spese sostenute a causa dell’evento (danno emergente), che in termini di mancato guadagno e, quindi, impoverimento del proprio patrimonio (lucro cessante).
Nel caso dell’incidente stradale saranno ascrivibili alla prima categoria le spese sostenute per la riparazione del veicolo, mentre apparterranno alla voce del lucro cessante i mancati guadagni derivanti dai tempi di riparazione del mezzo. Si pensi al caso di un tassista costretto a non poter lavorare sino all’avvenuta riconsegna del mezzo.
Per ottenere la riparazione del pregiudizio subito il danneggiato potrà chiedere il risarcimento del danno per equivalente o il risarcimento del danno in forma specifica. Nel primo caso, chiederà una somma di denaro equivalente all’entità del danno subito, nel secondo caso potrà invece ottenere il ripristino della situazione che sarebbe esistita ove l’illecito non si fosse verificato (la riparazione dell’automobile nel caso del sinistro stradale).
Danno non patrimoniale: quando è risarcibile?
Il danno è non patrimoniale quando il danneggiato lamenta un pregiudizio ad un bene insuscettibile di valutazione economica (per esempio, alla salute). Tale voce di danno, seppur deve essere considerata unitariamente, viene storicamente suddivisa in tre categorie a carattere descrittivo:
- danno biologico: consiste nel pregiudizio all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico legale e indipendente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità reddituale. È quindi il caso di danno alla salute, all’integrità psico-fisica, all’aspetto esteriore ecc.;
- danno morale: definito come il patema d’animo o la sofferenza soggettiva provata dalla vittima di un illecito. Si pensi alle sofferenze patite dalla vittima di condotte persecutorie (stalking), al soggetto vittima di mobbing sfociato in un ingiusto licenziamento o, ancora, al dolore sofferto dai parenti della vittima di un omicidio;
- danno esistenziale: rappresentato dal peggioramento della qualità di vita di un soggetto o dalla radicale alterazione delle sue abitudini e del suo stile di vita. È il caso, ad esempio, di un soggetto sfigurato a causa di un errato intervento chirurgico.
Chiarito cosa si intende per danno non patrimoniale, è necessario ora comprendere quando tale tipologia di danno può essere risarcita.
Orbene, il danno non patrimoniale può essere risarcito esclusivamente nei seguenti casi:
- quando il fatto illecito integra una fattispecie penalmente rilevante, si pensi ad un soggetto vittima di minacce e percosse.
- quando vi è un’espressa previsione di legge che ne riconosce la risarcibilità. È il caso, ad esempio, dei danni cagionati da illecito trattamento dei dati personali o del cosiddetto danno da vacanza rovinata;
- e, infine, come chiarito a più riprese dalla Corte di Cassazione, quando il danno è conseguenza della lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente tutelati. Tuttavia, onde evitare un uso distorto di tale strumento, i giudici hanno anche chiarito che deve trattarsi di un danno “serio” e di una lesione “grave” ai diritti inviolabili della persona. Non potrai cioè chiedere il risarcimento per meri fastidi subiti o per danni del tutto immaginari.
Alcuni esempi di danni non patrimoniali
Vediamo quindi alcuni casi particolari nei quali la giurisprudenza ha riconosciuto la sussistenza di un danno non patrimoniale.
La Cassazione ha individuato il cosiddetto danno biologico terminale nelle consapevoli sofferenze e nell’agonia sofferte – per un apprezzabile lasso temporale – da un individuo prima di decedere.
In un altro caso, i giudici hanno ravvisato un danno da nascita indesiderata nella condotta del medico che, omettendo o errando una diagnosi relativa alla malformazione del feto, non permette ai genitori di decidere consapevolmente se interrompere o meno la gravidanza.
Si pensi, infine, al danno alla propria immagine, ovverosia il danno conseguente alla lesione subita alla propria reputazione e identità personale.
Auto danneggiata da righe con la chiave: che valore ha la ripresa video? Si può usare per la denuncia e la richiesta di risarcimento del danno?
Partiamo subito col dire che il reato di danneggiamento è stato depenalizzato con esclusione solo delle ipotesi in cui la cosa danneggiata è «esposta alla fede pubblica». Tale è la situazione in cui l’auto si trova su una strada pubblica o in un luogo privato aperto al pubblico (come ad esempio il parcheggio di un supermercato o di un cinema). In quest’ultima ipotesi, dunque, c’è ancora spazio per la querela. La querela deve essere presentata entro 3 mesi da quando il fatto è stato commesso o scoperto. Se non si conosce il nome dell’autore del reato ma si è in possesso di una sua descrizione o di una foto è possibile presentare la querela contro «persona da identificare». Diversamente, quando non si è a conoscenza del colpevole, la querela – per quanto utile possa essere – andrà depositata «contro ignoti».
Detto ciò, vediamo cosa si può fare per procurarsi la prova dell’illecito. Si può filmare una persona che riga la macchina? Sicuramente, le riprese video o le registrazioni audio, quando compiute in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sono lecite a meno che non integrino gli estremi del reato di molestie. Sarebbe una molestia fotografare una persona sconosciuta che passeggia senza dar alcun fastidio a nessuno.
Filmare una persona mentre commette un reato o comunque un altro illecito (ad esempio sta offendendo e ingiuriando un passante, occupa un posto auto per invalidi, ecc.) è consentito a patto che la registrazione venga conservata per sé stessi, non venga diffusa a terzi, non venga pubblicata su Internet e se ne faccia comunque un uso conforme alla legge. Tale uso deve quindi essere rivolto a tutelare i propri o gli altrui diritti. Dunque, riprendere una persona mentre riga una macchina è consentito a patto che il filmato non venga caricato su un profilo social o comunque inoltrato ad altre persone ma venga impiegato per scopi giudiziari.
Il file video può essere quindi sia utilizzato per sporgere la querela, sia per procedere in via civile con una richiesta di risarcimento del danno.
Circa la possibilità che tale documento video possa costituire prova, nell’ambito del diritto penale e civile non vi sono problemi di sorta, purché la qualità delle riprese sia tale da rendere pienamente riconoscibile il colpevole. Non vi devono cioè essere incertezze in merito alla sua identità, come invece potrebbe succedere qualora il responsabile venga ripreso alle spalle, senza che il volto possa essere individuato.
Nell’ambito del processo civile, la ripresa video viene classificata come una “riproduzione meccanica” che fa prova salvo che la parte contro cui è prodotta non la contesta. Ma la contestazione non può essere generica: al contrario, deve suggerire al giudice le ragioni per cui il filmato non può ritenersi attendibile. Diversamente, il magistrato dovrà assumere il file come prova dell’illecito e fondare la propria decisione anche solo su di esso.
Si tenga conto che per ottenere il risarcimento contro chi riga l’auto è possibile agire in due modi:
- in sede penale, dopo che le indagini sono terminate ed è iniziato il processo vero e proprio contro l’imputato, attraverso la costituzione di parte civile, mediante un proprio avvocato. In tale sede il giudice fisserà, con la condanna, anche una «provvisionale»: una sorta di risarcimento in via forfettaria. Il danneggiato potrà poi agire in via civile per l’esatta quantificazione del danno e per chiedere l’eventuale differenza;
- direttamente con una causa civile per il risarcimento del danno. Danno ovviamente, anche in questa sede, da dimostrare attraverso il preventivo dell’officina.
Si tenga infine conto di altre due importanti questioni. Secondo la giurisprudenza, il filmato può essere ottenuto anche puntando una telecamera direttamente dal balcone di casa propria contro l’auto, a patto che non riprenda parti comuni del condominio (come il cortile) o pubbliche (come la strada).
Inoltre, in mancanza di prove fotografiche o video, è possibile ottenere la prova del fatto e dell’identità del colpevole tramite la testimonianza oculare di un passante o di chiunque altro abbia assistito alla scena.
Nella mattinata odierna, i Carabinieri del Comando Provinciale di Avellino hanno dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari nei confronti di 11 persone (delle quali 4 destinatarie della misura coercitiva carceraria, 4 della misura degli arresti domiciliari, una dell’obbligo di dimora e due della sospensione dall’esercizio della professione di consulente per infortunistica stradale) emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Avellino, su richiesta della Procura della Repubblica, in quanto gravemente indiziate, allo stato delle indagini, di “associazione per delinquere” finalizzata alla “truffa in danno di istituto di assicurazione”, nonché di “falsità materiale ed ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”.
L’attività di indagine ha consentito di disvelare l’esistenza di tre distinti gruppi criminali, operanti prevalentemente nel Capoluogo avellinese, dediti all’organizzazione di una notevole quantità di falsi sinistri stradali, con il concorso di diversi complici, di varia estrazione sociale e professionale. L’organizzazione risulta aver precostituito 74 falsi sinistri stradali, per un potenziale danno economico alle compagnie assicurative coinvolte pari a circa 600.000 euro (di cui oltre 270.000 circa già liquidati a favore delle false vittime degli incidenti).
Le indagini hanno, altresì, consentito di ricostruire l’articolata compagine organizzativa, fatta, appunto, di distinti gruppi criminali, operanti in ambiti diversi, acquisendo indizi di reità nei confronti di 267 persone, ciascuna delle quali con compiti ben precisi. Il protocollo operativo dei gruppi era, tuttavia, simile: i falsi sinistri erano inscenati in aree prive di sistemi di videosorveglianza e le lesioni, procurate al fine di supportare le richieste risarcitorie, andavano dalle ipotesi più lievi delle ecchimosi o delle abrasioni fino a quelle più gravi della rottura dei denti o delle lesioni agli arti. A tal fine, gli indiziati assoldavano soprattutto persone in precarie condizioni economiche, in alcuni casi anche minorenni o soggetti affetti da gravi patologie. Questi ultimi acconsentivano a subire lesioni di particolare gravità, con la promessa che il risarcimento assicurativo sarebbe stato tanto più consistente quanto più gravi fossero state le lesioni.
I sodalizi si avvalevano, per la compiuta istruzione delle pratiche risarcitorie, di 17 medici (indagati per aver rilasciato attestazioni false circa le lesioni subite dalle vittime), di 3 avvocati (due dei quali destinatari della misura restrittiva degli arresti domiciliari) e di 2 titolari di studi di infortunistica stradale (destinatari del provvedimento di inibizione all’esercizio dell’attività professionale).
Nel medesimo contesto operativo, sono state effettuate perquisizioni, con la presenza del Pubblico Ministero, presso i domicili e gli studi legali riconducibili a due avvocati indagati e si è data esecuzione ad un provvedimento di sequestro preventivo di beni mobili ed immobili (per la somma concorrente di euro 273.000) nei confronti di 10 degli indagati, ritenuti i promotori e gli organizzatori dei sodalizi. L’indagine in questione si inserisce in un più articolato programma investigativo, elaborato da questo Ufficio in collaborazione con le Forze di Polizia, volto a contrastare il dilagante fenomeno delle frodi assicurative, con le connesse ripercussioni sugli assicurati onesti.
Due condanne e quattordici assoluzioni. Queste le sentenze del tribunale di Palermo al termine del processo ad una presunta organizzazione specializzata alle truffe alle assicurazioni per fatti che risalgono tra il 2010 ed il 2013.
Le due condanne
Le accuse sono cadute per tutti gli imputati tranne per Nicola Pedona, condannato a due anni e un mese e per Fabrizio Costa al quale è stata inflitta una pena di un anno e dieci mesi di reclusione.
Caduta l’aggravante dell’associazione a delinquere
Tra assoluzioni, nel merito e per prescrizioni, per tutti gli imputati è caduta l’aggravante dell’associazione a delinquere. Lo ha stabilito la sentenza emessa dalla quinta sezione penale del tribunale presieduta dal giudice Sergio Ziino con a latere, Giangaspare Camerini e Daniela Vascellaro.
La tesi dell’accusa
Secondo i pubblici ministeri Bernardo Petralia e Anna Battaglia, che si erano occupati dell’inchiesta, i sedici imputati in giudizio avrebbero messo in piedi una serie di raggiri ai danni delle compagnie assicurative.
La ricostruzione delle indagini
Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini avrebbero simulato il furto di un’auto denunciandolo la sparizione della vettura dell’assicuratore.
Dopo aver incassato la somma di denaro a titolo di indennizzo, senza quindi segnalare il ritrovamento della vettura, l’avrebbero rivenduta ad altri falsificandone i documenti.
Una cinquantina gli episodi contestati tra il 2010 e il 2013
Gli episodi contestati sarebbero stati una cinquantina in un periodo compreso tra il 2010 e il 2013. A capo del gruppo per la pubblica accusa ci sarebbe stato Salvatore Mendola, difeso dagli avvocati Antonio Gargano e Raffaele Bonsignore, per il quale era stata chiesta una condanna a nove anni e sei mesi di reclusione.
I legali di Mendola hanno dimostrato come non sia stato provato nel corso del dibattimento da parte dell’accusa che vi fosse un accordo stabile e duraturo tra gli imputati, quindi uno dei requisiti su ci si basa l’associazione per delinquere e che “a differenza di quanto enunciato anche nel capo di imputazione in cui si afferma che gli imputati sono legati tra loro da rapporti di parentela, conoscenza diretta ed abituale, frequentazione, non ha neppure provato reciproci, stabili e duraturi rapporti tra gli stessi”.
Salvatore Mendola lo scorso aprile è finito ai domiciliari in quanto coinvolto, assieme al figlio Francesco e altri sei indagati, in un’inchiesta della finanza su presunte truffe assicurative.
Le assoluzioni
Assolto nel merito Angelo Donzelli, difeso dall’avvocato Cinzia Pecoraro. Scagionati anche Vincenzo Teresi, Vito Riccobono, Filippo e Francesco Mendola, Mario La Vardera, Domenica Gambino, Fabrizio Alfano, Vincenzo Meglienti, Benedetto Gambino, Serena Bonfardino, Carmelo Cangemi e Fabrizio Sciascia.
Gli imputati sono stati difesi, tra gli altri, dagli avvocati Salvino Pantuso, Vincenzo Giambruno, Giuseppe Serio e Laila Trumbadore, Carmelo Ferrara, Giovanni Infranca, Melchiorre Piscitello, Loredana Alicata, Giuseppe Di Cesare e Giuliana Vitello.
Vittima inconsapevole un centenario calabrese. Coinvolti un direttore delle Poste e un dipendente di banca. Sequestrati beni per 650mila euro
Militari della Compagnia di Martina Franca hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, una delle quali in carcere e sette ai domiciliari, nei confronti di 8 persone responsabili di una truffa in danno di un uomo centenario residente in Calabria.
Il provvedimento, emesso dal gip del Tribunale di Taranto, rappresenta l’epilogo di indagini coordinate efficacemente dalla Procura della Repubblica jonica sul conto di una persona residente in provincia di Bari. Quest’ultima, producendo falsa documentazione, avrebbe aperto un conto corrente presso un Ufficio Postale della provincia di Taranto a nome della vittima centenaria, ignara di ciò, utilizzando sue firme falsificate che sarebbero state apposte su una serie di atti al fine di poter riscuotere illecitamente polizze assicurative sulla vita a lei intestate per un valore di 650 mila euro.
L’importo di tali polizze sarebbe poi stato subito suddiviso e veicolato su altri conti correnti intestati a persone pluripregiudicate, originarie della provincia barese, le quali, a loro volta, avrebbero effettuato ulteriori bonifici bancari in favore di ulteriori soggetti, anche su conti accesi presso istituti di paesi esteri.
Tale illecita attività sarebbe stata posta in essere grazie anche al coinvolgimento del direttore del predetto Ufficio Postale nonché di un dipendente bancario dell’istituto di credito presso il quale erano state poste in essere le polizze assicurative.
Il provvedimento giudiziario adottato ha disposto altresì il sequestro preventivo di beni e disponibilità finanziarie facenti capo alle suindicate persone, fino alla concorrenza dell’importo di 650 mila euro.
Si procede per le ipotesi di reato di truffa, ricettazione, riciclaggio e auto-riciclaggio nell’ambito del procedimento penale che pende nella fase delle indagini preliminari. Per il principio di presunzione di innocenza, la responsabilità delle persone sottoposte ad indagini sarà definitivamente accertata solo dove interverrà sentenza irrevocabile di condanna.
L’operazione, resa possibile grazie all’incisivo impulso della Procura di Taranto nonché al proficuo scambio informativo con gli organi collaterali di diversi paesi esteri, attuato tramite il II Reparto del Comando Generale, testimonia il costante impegno della Fiamme Gialle tarantine nel salvaguardare la sicurezza economico-finanziaria dei cittadini ed in particolare di quelli più vulnerabili, spesso facili prede di persone senza scrupoli.
La madre di una delle tre vittime della cascina fatta esplodere per riscuotere l'assicurazione: "Fatta giustizia ma mio figlio non tornerà"
La Corte d'Appello di Torino ha accolto la richiesta di concordato per il patteggiamento e ha condannato a 27 anni Gianni Vincenti e a 26 anni e 11 mesi Antonella Patrucco, accusati di omicidio volontario con dolo eventuale per la morte dei tre vigili del fuoco, Matteo Gastaldo, Marco Triches e Antonio Candido, uccisi nell'esplosione della loro cascina a Quargnento nell'Alessandrino, il 5 novembre del 2019.
Gli avvocati della coppia, Gianluca Orlando e Fulvio Violo per Vincenti, Caterina Brambilla e Giacomo Gardella per Patrucco, avevano fatto richiesta di procedere ad un concordato per riunire tutte le imputazioni a loro carico e che prevedeva oltre al patteggiamento la rinuncia al ricorso in Cassazione. I coniugi erano stati condannati a 30 anni in primo grado dalla Corte d'Assise di Alessandria.
Gli imputati
Nei loro confronti poi erano state emesse altre due condanne per reati minori: quattro anni ad entrambi per truffa all'assicurazione, crollo e lesioni per i tre soccorritori rimasti feriti, sei mesi a Vincenti per calunnia nei confronti di un vicino di casa e un anno e tre mesi per un'altra truffa assicurativa la cui sentenza era arrivata ad aprile.
"Questa sentenza ci fa giustizia. Ma è sempre poco perché nessuno sentenza potrà darci indietro i nostri figli". Così Maria Stella Ielo, madre di Antonio 'Nino' Candido, uno dei tre vigili del fuoco morti nella strage di Quargnento, dopo la sentenza della Corte d'Appello di Torino.
Le vittime
Secondo la Maria Stella Ielo la coppia sapeva che ci sarebbe stata una seconda esplosione nella loro cascina "ma non hanno fatto nulla per proteggere i nostri figli". "Sarebbe bastata una telefonata e non saremmo qua - dice la madre di Candido - Le nostre vite sono state distrutte e i sogni dei nostri figli sono stati infranti. Sicuramente anche le vite dei Vincenti sono cambiate, però non è certo colpa nostra".
La sentenza mette la parola fine a una vicenda cominciata tre anni e mezzo fa. È da poco passata la mezzanotte a Quargnento, piccolo comune dell'Alessandrino, quando nella notte tra il 4 e 5 novembre 2019, all'interno di una cascina disabitata, si verifica un'esplosione. I vicini chiamano i vigili del fuoco che poco dopo arrivano sul posto con i carabinieri. Il peggio però si verifica un'ora e mezza più tardi, all'1.32: una deflagrazione più devastante fa crollare gran parte della struttura. Sotto le macerie perdono la vita tre vigili del fuoco, Antonino Candido, Marco Triches e Matteo Gastaldo. Il caposquadra dei pompieri, Giuliano Dodero e un altro vigile restano feriti insieme a un carabiniere.
Immediate scattano le indagini sulla tragedia, gli investigatori sentono decine di testimoni, tra cui il proprietario della cascina, Giovanni Vincenti, che prima indirizza i sospetti su un vicino di casa, poi, il giorno dei funerali di Stato delle vittime, incastrato dal ritrovamento, nella sua camera da letto, del libretto di istruzioni dei due timer usati per innescare l'esplosione, ammette le sue responsabilità raccontando di averlo fatto per riscuotere i soldi dell'assicurazione.
Qualche mese dopo, a febbraio 2020, la procura chiede l'arresto anche per la moglie di Vincenti, Antonella Patrucco, misura che arriva il 24 giugno 2020 dopo che la Cassazione respinge l'impugnazione dei legali della donna. Un mese dopo la coppia viene condannata in abbreviato a quattro anni per truffa all'assicurazione, crollo e lesioni, sentenza che arriva dopo che il processo a carico dei due era stato diviso in due tronconi, quello per reati minori e quello per la morte dei tre vigili del fuoco per la quale Vincenti e Patrucco rispondono di omicidio volontario.
L'11 settembre dello stesso anno in Corte d'assise ad Alessandria comincia il processo per l'accusa più grave che, saltando tutta la parte dibattimentale, si conclude l'8 febbraio 2021 con la condanna dei coniugi Vincenti, lui detenuto in carcere ad Ivrea, lei a Vercelli, a trent'anni di reclusione. Il mese successivo, la Corte d'appello di Torino conferma per i due la condanna a quattro anni per i reati minori. A Vincenti viene riconosciuto anche la calunnia nei confronti del vicino di casa che gli costa sei mesi di reclusione in più.
Oggi, dunque, con la sentenza della Corte d'assise d'appello di Torino si è messa la parola fine: i giudici, accettando la richiesta di concordato presentata dai legali dei due imputati hanno riformulato la sentenza di primo grado condannando Vincenti a 27 anni e Patrucco a 26 anni e 11 mesi. Nel verdetto sono riuniti anche i reati minori. I due imputati inoltre hanno rinunciato al ricorso in Cassazione.
"La sanzione finale è sicuramente rapportata alla gravità dei fatti". Lo sostiene Fulvio Violo, avvocato di Giovanni Vincenti: "Il concordato - aggiunge - ha la valenza di cercare di rapportare la sanzione alla gravità del fatto. Purtroppo questo è stato un tragico equivoco, perché a monte non c'era alcuna intenzione di ledere ad alcuno: è degenerato, quindi giustamente Vincenti e Patrucco si sono assunti le loro responsabilità fino in fondo e penso che a questo punto possano essere soddisfatti tutti"
"La mia assistita - ha spiegato Giacomo Gardella, legale di Antonella Patrucco - continua a ribadire che non aveva assolutamente consapevolezza, se non in maniera generica, di quelle che erano le intenzioni del marito, ma non c'era in ogni caso anche da parte di lui l'intenzione di fare male ad alcuno. La scelta del concordato è stata dolorosa come dolorosa è tutta l'intera vicenda".
Quattro i reati di truffa assicurativa contestati tra agosto e settembre 2019. Ecco la sentenza del gup del tribunale di Milano
Il GUP del Tribunale di Milano ha assolto dall’accusa di frode assicurativa in concorso un cosentino, mentre per gli altri si procederà al giudizio. Si chiude così una vicenda di cronaca che ha visto imputato, con l’accusa di essere uno degli autori facente parte di un gruppo di persone dedite alle truffe assicurative, un commerciante di Cosenza. Quattro i reati contestati secondo l’accusa avvenuti tutti in Cosenza e nell’hinterland, tra agosto e settembre 2019.
A tutti gli imputati era contestato di avere messo in atto un sistema di truffa perpetrato attraverso la denuncia di numerosi sinistri mai avvenuti e recanti a supporto documentazione falsa, nonché l’utilizzo di artifici finalizzati all’aggravamento di lesioni e quindi a maggiorare artificiosamente l’indennizzo richiesto in danno delle assicurazioni. L’assicurazione aveva anche nominato un investigatore, il quale aveva fornito alla compagnia assicurativa una copiosa documentazione di riscontro dalla quale poi è partita la querela ed il procedimento penale.
L’imputato, incensurato, si era sin dall’inizio professato innocente. Lo stesso aveva fornito agli investigatori della Compagnia assicurativa anche la propria versione dei fatti, oltre che certificazione medica, ritenuta dalla Procura contraddittoria e non veritiera, da qui l’imputazione.
Secondo gli Uffici di Procura, gli indizi erano rappresentati oltre che da divergenti dichiarazioni tra gli indagati sugli stessi fatti anche da divergenze sul traffico satellitare rispetto alle dinamiche denunciate dei sinistri nelle richieste di risarcimento formulate all’assicurazione. Altri indizi venivano rinvenuti in scatti fotografici pubblicati su Facebook dai quali emergevano, secondo l’accusa, una serie di indizi a carico dell’imputato.
L’avvocato Andrea Trevisan del foro di Cosenza, che ha assistito il commerciante, che ha scelto di essere giudicato con rito abbreviato, ha sempre sostenuto che gli indizi a carico di G. A. fossero assolutamente non idonei a formulare una sentenza di condanna anche a seguito delle investigazioni difensive svolte e si è detto soddisfatto per la decisione del GUP che ha fatto proprie le argomentazioni prospettate dalla difesa ed ha assolto l’imputato per tutti e quattro i reati allo stesso contestati: in particolare il Gup ha assolto l’imputato con la formula “per non aver commesso il fatto” per reati contestati nel settembre del 2019 e “perché il fatto non sussiste” per il reato contestato nell’agosto del 2019.
Il giudice ha inflitto pene tra i 2 anni e 2 mesi ed 1 anno nei confronti degli imputati
Otto condanne. Sono quelle pronunciate dal giudice Alessandro De Santis nei confronti di altrettanti imputati accusati di truffa ai danni delle assicurazioni auto.
Il giudice ha inflitto 1 anno per Vincenzo Capobianco, 22enne di Santa Maria Capua Vetere; 2 anni e due mesi per Alessio Fusco, 22enne di Capua; 1 anno e 6 mesi per Crescenzo Bello, 43enne di Sant'Arpino; 1 anno e 6 mesi per Pasquale Caserta, 22enne di Capua; 1 anno e 6 mesi per Giuseppe Monte, 26enne di Grazzanise; 1 anno e 6 mesi per David Lazlo Suciu; 2 anni per Alberto Grimaldi, 22enne di Capua; 2 anni per Carlo Cantelli, 56enne di Casal di Principe. Per tutti - ade eccezione di Fusco, Grimaldi e Cantelli - il giudice ha disposto la sospensione della pena. Disposto il risarcimento dei danni nei confronti delle assicurazioni truffate, Axa e Generali, quest'ultima costituitasi parte civile con l'avvocato Lucia Piscitelli. Nel collegio difensivo gli avvocati Massimiliano Di Fuccia, Mirella Baldascino, Olimpia Rubino e Gianfranco Carbone.
Secondo quanto accertato dagli inquirenti, le finte vittime degli incidenti stradali si procuravano ferite, facendosi picchiare anche con mazze di ferro, e subito dopo si recavano al pronto soccorso per farsi refertare e consegnare successivamente l’intero incartamento ai legali, i quali inviano le richieste di danno alla compagnia assicurativa.
Tredici imputati, quasi tutti napoletani, sono accusati di aver denunciato incidenti mai accaduti e per farsi liquidare dalla compagnia trentina avrebbero utilizzato anche falsi referti medici
TRENTO. Nel vasto "campionario" delle truffe ai danni delle assicurazioni, c'è chi si era specializzato in falsi investimenti di pedoni sulle strisce. Ma i furbetti della frode - 13 persone quasi tutte residenti in provincia di Napoli - sono stati smascherati.
Qualcuno è uscito dal procedimento penale patteggiando la pena, la maggioranza ha preferito affrontare il processo in Tribunale a Trento.
Le accuse contestate sono fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e falsità materiale commessa dal privato.
Il capo di imputazione elenca 4 diversi episodi di quella che secondo la procura era una frode ai danni di Itas Mutua Assicurazioni (ma nel fascicolo sono elencate molti altri episodi commessi dagli stessi soggetti ai danni di altre compagnie assicurative in altre regioni).
«In concorso tra loro - ha scritto il pm - denunciavano un sinistro stradale inesistente asseritamente avvenuto mediante investimento su strisce pedonali in Torre del Greco alle 14 del 27 settembre 2013 predisponendo tre falsi referti dell'Ospedale civile di Bosco Trecase (Napoli) con la data del 27 settembre 2013 e la falsa firma del medico dottor (omissis), con l'aggravante di aver conseguito l'intento mediante emissione di sentenza di condanna di Itas al risarcimento».
Investimenti pedonali sulle strisce fasulli ai danni di Itas sarebbero stati commessi in almeno altre tre occasioni.
Il capo di imputazione cita l'investimento inesistente, asseritamente avvenuto il 5 agosto 2011 alle ore 11 a Pollena Trocchia (Napoli): l'investimento del 17 marzo 2013 accaduto a San Sebastiano al Vesuvio; infine un altro investimento considerato fasullo sarebbe accaduto il 30 aprile 2013 in un attraversamento pedonale a Torre del Greco.
Per ogni sinistro i truffatori si facevano liquidare come risarcimento cifre rilevanti.
Per frenare il malcostume degli incidenti falsi o gonfiati l'anno scorso Itas e procura della Repubblica di Trento hanno siglato un accordo
«L'obiettivo della compagnia assicurativa - scriveva in una nota Itas Mutua - è agevolare lo scambio di informazioni su episodi e circostanze di rilievo penale per intervenire in modo efficace e tempestivo».
Per tutte le compagnie assicurative le frodi sono un cancro: Itas, nel 2021 ha presentato su tutto il territorio nazionale in totale 62 denunce. All’Unità antifrode sinistri di Itas è affidato il compito di contrastare il fenomeno delle frodi assicurative. Le tipologie sono diverse: sinistri stradali simulati, incendi dolosi, infortuni avvenuti con dinamiche diverse da quelle denunciate.
Per gli incidenti stradali simulati Itas dispone di strumenti statistici e tecnici.
Chi ha inventato un sinistro e gli è andata bene spesso si fa ingolosire e ci riprova.
In questo caso l'archivio antifrode nazionale può fornire dati importanti per capire se ci sono anomalie.
Inoltre c'è l'esperienza dei liquidatori che vedono migliaia di sinistri e hanno l'occhio allenato per capire se la dinamica denunciata è compatibile con i danni riportati dal veicolo. Inoltre ci sono i periti che in base ai danni alle lamiere sono in grado di ricostruire come sono andate le cose.
Il Tribunale di Reggio Emilia, con la sentenza n. 788/221, pubblicata il 15.6.2021, ha deciso la controversia insorta tra un assicurato ed il suo assicuratore in merito all’oggetto della garanzia assicurativa r. c. auto.
Il fatto all’origine della lite riguardava un “autocarro adibito ad uso speciale di ‘furgone rosticceria’”, il cui proprietario aveva stipulato due distinti contratti assicurativi, diretti l’uno a coprire i rischi inerenti alla propria responsabilità civile per l’esercizio dell’attività commerciale esercitata per mezzo dell’autocarro e l’altra quello relativo alla “r.c. auto” del medesimo, e cioè ai danni causati dalla sua circolazione stradale.
Era accaduto che l’autocarro in questione, mentre “era parcheggiato nella piazza” di un centro urbano ed al suo interno si trovavano l’assicurato ed “altre persone intente a vendere al pubblico polli allo spiedo”, aveva “preso fuoco, cagionando un terribile incendio, domato solo dopo diverse ore”, provocando “la morte di tre persone, il ferimento di molte altre e pesanti danni materiali alle auto ed ai beni circostanti”.
La sentenza di primo grado del processo penale, “passata in giudicato in ordine all’accertamento dei fatti”, aveva accertato che l’incendio era stato causato “dalla manomissione e dalla modifica dell’impianto GPL di alimentazione del forno” effettuata dall’assicurato stesso.
In conseguenza, questi aveva attivato la garanzia inerente alla “polizza per responsabilità civile verso terzi”, ma l’assicuratore aveva esaurito il massimale contrattualmente pattuito senza riuscire a soddisfare tutte le richieste dei vari danneggiati, ragion per cui l’assicurato gli aveva domandato “di indennizzare i residui danni subiti dai terzi in forza della diversa ed ulteriore polizza stipulata per responsabilità civile automobilistica”.
A fronte del rifiuto oppostogli dall’assicuratore, che riteneva i danni succitati non coperti da tale specifica garanzia, l’assicurato aveva proposto domanda giudiziale di esecuzione del suddetto contratto assicurativo.
Il Tribunale ha respinto la domanda, ritenendo che i danni cagionati dall’incendio succitato fossero estranei all’oggetto dell’assicurazione dei rischi inerenti alla r.c. auto.
A tal fine il Giudice reggiano ha anzitutto osservato che il danno era stato causato dallo “svolgimento di attività commerciale di vendita che nulla ha a che vedere con la circolazione oggetto del rischio assicurato”.
Infatti, per quanto la giurisprudenza di legittimità abbia precisato che “il concetto di circolazione stradale oggetto del rischio assicurativo può includere anche la posizione di arresto del veicolo (cfr. Cass. n. 3257/2016 e Cass. Sez. Un. n. 8620/2015)”, questa afferma che “l’assicurazione RCA opera solo se il sinistro può essere eziologicamente ricollegabile alla circolazione, mentre non opera laddove il sinistro sia intervenuto per causa autonoma, ivi compreso il caso fortuito, di per sé sufficiente a determinarlo e pertanto idonea ad interrompere il nesso della sua derivazione causale dalla circolazione (cfr. Cass. n. 2092/2012 e Cass. n. 3108/2010)”.
Nel caso concreto, l’incendio si era “verificato non già in una fase di stasi propedeutica alla ripresa della circolazione, e cioè in quella situazione di circolazione statica che secondo la giurisprudenza legittima l’operatività della RCA, ma piuttosto in una fase di sosta, in area preclusa al traffico, non funzionale ad una ripartenza e connaturata invece allo svolgimento” della suddetta attività commerciale, quale era in atto quando scoppiò l’incendio stesso.
Quindi, il Tribunale ha escluso che il sinistro avvenuto a causa dell’incendio rientrasse nell’oggetto dell’assicurazione r.c. auto.
Ma ha aggiunto che la sua causa era stata ravvisata, da una sentenza penale passata in giudicato, nella “radicale manomissione dell’impianto di GPL ad opera dell’assicurato”, osservando che “ciò che in tutta evidenza integra un’ipotesi di caso fortuito, addebitabile peraltro all’assicurato, che interrompe il nesso causale con la circolazione stradale e che dunque esclude l’operatività della polizza RCA alla stregua dell’insegnamento giurisprudenziale di legittimità sopra richiamato”.
Rilievo questo che, in realtà, appare ultroneo, poiché, se il sinistro è estraneo all’oggetto della garanzia assicurativa, è irrilevante stabilirne la causa ovvero se questa debba o meno farsi risalire al fortuito.
Ma il Giudice emiliano adduce, poi, un ulteriore argomento a sostegno della tesi anzidetta, osservando che questa “risulta poi coerente anche con la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE”, rispondendo così all’esigenza di “garantire l’uniforme applicazione in tutto il territorio dell’Unione delle norme poste dalla direttiva UE 2009/103 a tutela delle persone coinvolte nei sinistri stradali”, secondo il principio della prevalenza “del diritto dell’Unione” rispetto a quello interno dei singoli Stati membri in questa specifica materia, come affermato da svariate pronunce: “(sentenza del 4 settembre 2014, Vnuk, C-162/13, punti 41 e 42; sentenza del 28 novembre 2017, C-514/16, Rodrigues De Andrade, punti 28 e 29; sentenza del 20 dicembre 2017, Núñez Torreiro, C-334/16, punto 24; sentenza del 20 giugno 2019, Línea Directa Aseguradora SA, C-100/18, punto 32)”.
Rileva, quindi, il Tribunale che “la decisione C-514/16 (in particolare punti 34, 38 e 40) pare decisiva ai fini dell’esclusione dell’operatività dell’assicurazione RCA nel caso per cui è processo, in quanto… chiarisce che “rientra nella nozione di ‘circolazione dei veicoli’, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, qualunque uso di un veicolo in quanto mezzo di trasporto”, ma che "è importante determinare se, nel momento in cui si è verificato l’incidente in cui tale veicolo è stato coinvolto, detto veicolo fosse usato principalmente come mezzo di trasporto, nel qual caso tale uso può rientrare nella nozione di ‘circolazione dei veicoli’, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della prima direttiva, o in quanto macchina da lavoro, nel qual caso l’uso in questione non può rientrare nella suddetta nozione””.
Da questa premessa la sentenza in esame trae la conclusione per cui “il sinistro per cui qui si discute si è verificato allorquando il mezzo era utilizzato come ‘macchina da lavoro’ e non già come ‘mezzo di trasporto’”, al che consegue la definitiva conferma della “inoperatività della polizza RCA”.
In proposito deve richiamarsi il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8620/2015, secondo il quale “nell'ampio concetto di circolazione stradale indicato nell'art. 2054 c.c., è compresa anche la posizione di arresto del veicolo, sia in relazione all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia in relazione alle operazioni eseguite in funzione della partenza o connesse alla fermata, sia ancora con riguardo a tutte le operazioni cui il veicolo è destinato a compiere e per il quale esso può circolare nelle strade. Ne consegue che per l'operatività della garanzia per la R.C.A. è necessario il mantenimento da parte del veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull'area ad essa parificata, delle caratteristiche che lo rendono tale sotto il profilo concettuale e, quindi, in relazione alle sue funzionalità, sia sotto il profilo logico che sotto quello di eventuali previsioni normative, risultando, invece, indifferente l'uso che in concreto si faccia del veicolo, sempreché che esso rientri in quello che secondo le sue caratteristiche il veicolo stesso può avere”.
Quest’ultima parte del principio affermato dalle SS.UU., invero, appare non solo gravida di rilevanti ambiguità, che risultano evidenti ove si consideri che quella stessa sentenza ritenne coperto dalla garanzia r.c. auto “il sinistro mortale determinato dall'imperita manovra da parte del conducente di un mezzo in sosta, munito di un braccio meccanico di sollevamento, per effetto della quale un cassone metallico, in fase di caricamento, era scivolato travolgendo la vittima”.
Ma anche non del tutto coerente rispetto al “diritto dell’Unione”, come interpretato dalla Corte UE, quale giustamente richiamato dal Giudice reggiano, laddove questo distingue l’uso del veicolo assicurato come “mezzo di trasporto” rispetto a quello che altrimenti se ne faccia come “macchina da lavoro”.
Sinistro in cui sono coinvolti più veicoli nella stessa corsia di marcia: come funziona la responsabilità, chi paga i danni e come fornire la prova liberatoria?
I sinistri stradali sono all’ordine del giorno e, purtroppo, a volte si concludono anche con esiti fatali per le persone che vi rimangono coinvolte. Buona parte di questi incidenti avviene perché non si rispettano le regole della normale prudenza previste dal Codice della strada, come ad esempio quella che impone di mantenere la distanza con il veicolo che precede il proprio. Con questo articolo ci occuperemo in modo specifico della responsabilità nei tamponamenti a catena.
Nel dettaglio, analizzeremo le due ipotesi classiche di questo particolare tipo di sinistro: il tamponamento a catena tra veicoli fermi e quelli tra veicoli in movimento. A proposito di quest’ultima tipologia di incidente, si registra un’interessante pronuncia della Corte di Cassazione secondo cui non si applica la pari responsabilità tra conducenti se l’ultimo veicolo ha una velocità eccessiva. Se l’argomento ti interessa e vuoi saperne di più, prosegui nella lettura: vedremo insieme come funziona la responsabilità nei tamponamenti a catena.
Tamponamento a catena: cos’è?
Per tamponamento a catena si intende un sinistro stradale che coinvolge contemporaneamente più veicoli, tutti aventi medesima direzione e corsia di marcia, nel quale è avvenuto un danneggiamento della parte anteriore di un mezzo contro quella posteriore del veicolo che precede.
Tamponamento a catena: chi è responsabile?
È diffusa l’idea secondo cui, nel caso di tamponamento a catena, l’ultimo veicolo “paga per tutti”. E, in effetti, ciò è quasi sempre vero: se l’impatto tra veicoli in colonna è causato dalla spinta che l’ultimo arrivato ha dato al veicolo che lo precedeva, collidendo con quest’ultimo, la responsabilità sarà proprio di chi ha innescato la reazione a catena.
In effetti, questa responsabilità deriva dall’aver violato un preciso obbligo di legge: quello di conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo della vettura.
Pertanto, la responsabilità dei tamponamenti a catena è di colui che tampona per inosservanza delle distanze di sicurezza prescritte che avrebbero consentito un adeguato spazio di frenata e manovra.
In realtà, nel caso del tamponamento a catena, occorre distinguere l’attribuzione della responsabilità in base alla dinamica al momento del sinistro, cioè se questo è avvenuto con veicoli in colonna fermi oppure se il tamponamento a catena si è verificato quando i mezzi erano in movimento.
Tamponamento a catena tra veicoli fermi: chi paga?
Quando il tamponamento a catena riguarda veicoli incolonnati, cioè veicoli fermi (ad esempio perché in coda dinanzi a un semaforo rosso, bloccati nel traffico, ecc.), la responsabilità dell’incidente è attribuita unicamente al conducente dell’ultimo veicolo, così come appena spiegato nel paragrafo precedente.
Tutti gli altri conducenti e/o proprietari dei veicoli saranno quindi risarciti dall’assicurazione del veicolo che per prima ha tamponato, innescando la catena di sinistri.
Tamponamento a catena tra veicoli in movimento: chi paga?
Quando il tamponamento a catena coinvolge veicoli in movimento, cioè veicoli in marcia (quelli che, ad esempio, avvengono in autostrada tra vetture che procedono lentamente), si applica il principio di pari responsabilità previsto dal Codice civile.
Secondo la legge, nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli.
Alla luce di questo principio devono ritenersi responsabili, in eguale misura, entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), a causa dell’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo che gli precede, cioè che gli sta davanti.
Tuttavia, secondo una recente ordinanza della Corte di Cassazione, nel caso di tamponamento a catena tra veicoli in movimento, non si applica il principio (appena visto) della pari responsabilità se l’ultimo veicolo procede a una velocità eccessiva.
In pratica, se la vettura che si scontra per prima ha una velocità talmente elevata da spingere il veicolo colpito fino a farlo impattare a propria volta con un mezzo che si trova più avanti, allora non può parlarsi di incolonnamento di veicoli, con esclusione di ogni concorso di responsabilità.
Tamponamento: come si dimostra di non avere colpe?
In caso di tamponamenti a catena di veicoli in movimento è possibile fornire adeguata prova liberatoria per evitare ogni forma di responsabilità.
Tale prova avrà come oggetto l’aver fatto tutto il possibile, una volta tamponati, per evitare di tamponare il veicolo davanti, rispetto al quale erano comunque rispettate le distanze di sicurezza.
Si pensi, ad esempio, al caso in cui si riesca a provare che l’urto con il veicolo anteriore non sia derivato dall’eccessiva vicinanza con lo stesso ma solo ed esclusivamente dall’eccessiva velocità del veicolo proveniente da tergo, come appunto ricordato dalla Cassazione nell’ordinanza citata sopra.
Ovviamente, come già ricordato, il primo veicolo della colonna (il quale viene tamponato, ma non tampona nessun altro) non ha mai alcuna responsabilità.
Tamponamento a catena: c’è il risarcimento diretto?
Il tamponamento a catena, coinvolgendo più veicoli, rientra tra le ipotesi che esulano dall’applicazione del risarcimento diretto, cioè dalla procedura che consente al danneggiato di chiedere l’indennizzo direttamente alla propria compagnia assicurativa, la quale poi si rivale su quella del responsabile.
A seconda dei casi, quindi occorrerà rivolgersi o al veicolo direttamente tamponante (in ipotesi di veicoli in movimento) o all’ultimo veicolo, che ha dato origine all’incidente complessivo (in ipotesi di veicoli incolonnati in sosta).
Il trasportato su uno dei veicoli coinvolti, tuttavia, dovrà sempre richiedere i danni alla compagnia che assicura il mezzo sul quale si trovava al momento dello scontro.
La compagnia assicuratrice non risarcisce i danni se l’evento non è previsto in polizza o se il condominio ha trascurato la manutenzione di grondaie e pluviali.
Le infiltrazioni negli appartamenti sono un problema molto frequente. Molti condomini, per tutelarsi, stipulano una polizza assicurativa contro i danni al fabbricato e alle unità immobiliari che lo compongono. Gli eventi coperti dall’assicurazione sono molteplici, e vanno dall’incendio, che può avvenire nelle abitazioni e nei negozi, allo scoppio di tubature o di impianti di riscaldamento, che causa allagamenti e rotture; di solito è prevista anche l’eventualità del crollo dell’intero edificio.
A volte, però, dopo che il danno si è verificato, la compagnia assicuratrice si “chiama fuori” e rifiuta il risarcimento, sostenendo che l’evento accaduto non è contemplato tra i rischi previsti nella polizza stipulata dal condominio. E allora è bene porsi in anticipo la domanda: in caso di infiltrazioni negli appartamenti, paga il condominio o l’assicurazione?
La risposta a questa domanda non dipende solo dalle condizioni contrattuali contenute nella polizza assicurativa stipulata, ma anche dalla condotta tenuta dal condominio nella manutenzione dell’edificio. Questo può sembrare strano, perché comunemente si ritiene che, se un palazzo è assicurato contro i danni derivanti da infiltrazioni negli appartamenti, il condominio debba comunque essere “coperto” dall’assicurazione. In realtà occorre verificare, caso per caso, se il condominio ha adempiuto correttamente ai propri obblighi di custodia delle parti comuni: se non lo ha fatto, ad esempio perché ha trascurato la pulizia delle gronde e dei canali di scolo, dovrà risarcire tutti i danni ai proprietari delle unità abitative colpite dalle infiltrazioni, senza ricevere alcuna manleva della compagnia assicuratrice.
L’assicurazione del condominio contro le infiltrazioni
L’assicurazione condominiale per la responsabilità civile dei danni arrecati ai proprietari delle unità immobiliari o a terzi non è obbligatoria per legge; rimane sempre facoltativa, ma è opportuno stipularla se si desidera ottenere una maggior sicurezza patrimoniale. In assenza di assicurazione, infatti, il risarcimento spettante ai danneggiati viene a posto a carico di tutti i condomini, in base alle rispettive quote di proprietà espresse nelle tabelle millesimali.
Il contratto di assicurazione viene stipulato, a nome del condominio, dall’amministratore, su autorizzazione dell’assemblea, che deve deliberare con una maggioranza della metà più uno degli intervenuti e di almeno 500 millesimi.
Il contenuto della polizza assicurativa del condominio viene stabilito dalle parti: si può decidere per una copertura globale, o soltanto parziale, dei danni e individuare alcune specifiche tipologie di eventi, inserendo anche le infiltrazioni di acqua o di umidità negli appartamenti e negli altri locali di proprietà esclusiva (negozi, garage, box, ecc.). Nella pratica, la formula più utilizzata è l’assicurazione «globale fabbricati», che copre tutto l’edificio per i vari tipi di danni che possono verificarsi e possono colpire sia i condomini che abitano nel palazzo, sia i terzi (come i passanti per le cadute di calcinacci o i lavoratori che eseguono ristrutturazioni e riparazioni). Così come per l’assicurazione Rc auto, anche per l’assicurazione condominiale si possono prevedere delle garanzie aggiuntive per varie eventualità (guasti, assistenza tecnica, tutela legale, ecc.).
Infiltrazioni negli appartamenti: la responsabilità del condominio
Il condominio è responsabile, ai sensi dell’art. 2051 del Codice civile, per tutte le «cose in custodia»: si tratta delle parti di proprietà comune, e, al fine di prevenire le infiltrazioni negli appartamenti, vengono in rilievo soprattutto i tetti ed i lastrici solari di copertura dell’edificio, le grondaie ed i pluviali, le facciate esterne, gli impianti idrici e di riscaldamento centralizzato, fino al punto di diramazione nei singoli appartamenti.
Si tratta di una responsabilità presunta, che può essere esclusa solo se si dimostra che vi è stato un «caso fortuito», cioè un evento anomalo, imprevedibile ed eccezionale, come un terremoto o una frana, che ha causato la rottura di tubi o guaine di protezione in modo da provocare la penetrazione di acqua o di umidità nei locali di proprietà esclusiva.
L’obbligo di custodia delle parti comuni dell’edificio comporta, per il condominio, il dovere di provvedere con regolarità alla loro manutenzione e pulizia periodica, per conservarle in buono stato d’uso e di funzionamento, evitando che possano diventare fonte di pericolo per i proprietari delle unità abitative o commerciali situate nell’edificio, compresi i box auto.
Quando l’assicurazione condominiale non copre i danni da infiltrazioni
Una regola fondamentale è che l’assicurazione copre soltanto gli eventi accidentali (naturali o umani) e perciò involontari, ma non quelli dovuti a dolo o colpa dell’assicurato: nel nostro caso, il condominio. Una sentenza del tribunale di Napoli Nord si è occupata del caso di infiltrazioni d’acqua che avevano colpito alcuni appartamenti di un condominio assicurato. La società assicuratrice si era opposta alla domanda risarcitoria, sostenendo che il danno si era verificato per l’incuria del condominio che aveva trascurato la manutenzione delle parti comuni e, in particolare, aveva omesso di effettuare la pulizia periodica delle grondaie.
La consulenza tecnica d’ufficio (Ctu) espletata in corso di causa ha accertato che, effettivamente, le cause delle infiltrazioni riscontrate negli appartamenti erano riconducibili a:
- mancanza della «scossalina» lungo la tubazione di gronda (è una lastra, o scanalatura, che serve ad evitare il contatto delle acque piovane con il tetto e i muri esterni del fabbricato);
- mancata pulizia dei canali di gronda e dei pluviali, che non erano neppure costruiti e installati a regola d’arte;
- tubazioni dei camini non sigillate.
Constatato ciò, i giudici napoletani hanno attribuito al condominio la totale responsabilità per i danni cagionati dalle infiltrazioni, sottolineando che grava proprio sul condominio, anche se assicurato, il dovere di manutenzione e vigilanza su tali componenti statiche di scolo delle acque meteoriche. Invece la responsabilità dell’assicurazione è stata esclusa in quanto la polizza stipulata copriva «i soli danni derivanti da eventi accidentali» e non anche quelli provocati da trascuratezza nella manutenzione delle cose in custodia.
Qual è il valore probatorio di ciò che la vittima del sinistro ha dichiarato al medico ospedaliero ed è riportato nel certificato? L’assicurazione può contestarlo?
Stavi attraversando la strada quando una macchina che non ti ha visto ti ha investito. A causa del violento urto sei caduto a terra, confuso e dolorante. Nel timore di aver riportato lesioni, anche non apparenti, sei stato trasportato al Pronto soccorso dell’ospedale più vicino. Qui, il medico ti ha visitato e ha raccolto le tue dichiarazioni sulla dinamica dell’accaduto. Poi, ti ha rilasciato il referto con la diagnosi e la prognosi di guarigione.
Forte di questa documentazione, hai chiesto il risarcimento dei danni, ma la compagnia assicuratrice del veicolo investitore si oppone alla tua domanda, perché ritiene che la dinamica di verificazione del sinistro sia incompatibile con quanto hai dichiarato. Così vuoi sapere se, nel caso di pedone investito, le dichiarazioni al Pronto soccorso fanno prova.
Prova di un incidente stradale
La prova della verificazione di un incidente stradale e delle sue modalità di accadimento può essere ottenuta in diversi modi. A livello pratico, hanno valore soprattutto:
- i documenti, come i filmati estrapolati dalle telecamere di videosorveglianza presenti in zona, o le “dashcam” collocate a bordo dei veicoli coinvolti;
- i rilievi svolti dalle forze dell’ordine intervenute sul luogo del sinistro e gli eventuali verbali di contravvenzione elevati a carico dei conducenti;
- le testimonianze rese da chi ha assistito alla scena;
- le perizie e le consulenze tecniche cinematiche svolte da ingegneri o altri esperti di infortunistica stradale per calcolare la posizione, i movimenti e la velocità dei mezzi;
- le fatture rilasciate da meccanici e carrozzieri che hanno provveduto alla riparazione dei veicoli incidentati;
- i certificati medici, compresi i referti rilasciati dal Pronto soccorso che ha curato le vittime dell’incidente e descrivono gli esami compiuti, le lesioni riscontrate e le altre patologie riportate, con la terapia prescritta e i giorni di guarigione.
Tutti questi elementi possono essere utilizzati nella causa civile risarcitoria per stabilire il grado di responsabilità nella verificazione del sinistro e per la quantificazione dei danni a persone e cose.
Il valore probatorio del certificato di Pronto soccorso
La giurisprudenza riconosce al certificato rilasciato dal Pronto soccorso un elevato valore probatorio. La Corte di Cassazione sottolinea che il medico del Pronto soccorso è un pubblico ufficiale adibito ad una «speciale funzione certificatrice» e il certificato da egli compilato è un «atto pubblico fidefacente».
Ciò significa che quanto riportato dal medico nel certificato è ritenuto vero fino a querela di falso, in quanto, a norma dell’art. 2700 del Codice civile, attesta fatti constatati e percepiti direttamente dal pubblico ufficiale che lo ha redatto. Perciò, l’obiettività delle lesioni refertate dai sanitari curanti del Pronto soccorso potrà ben difficilmente essere contestata.
Quanto valgono le dichiarazioni del paziente al Pronto soccorso?
Un discorso diverso, però, va fatto per le dichiarazioni rese al Pronto soccorso dalla persona investita. Esse non hanno lo stesso valore di prova piena riconosciuto alle attestazioni del medico, anche se hanno una certa rilevanza per il fatto di essere state rilasciate nell’immediatezza dell’incidente o comunque poco dopo, cioè appena il paziente è arrivato in ospedale. Inoltre, la loro veridicità storica – cioè il fatto che sono state rese con quelle parole e in quel momento – è comprovata dal fatto che il medico le ha inserite nel suo certificato. Tuttavia, una descrizione generica dell’accaduto – ad esempio l’espressione, frequentemente utilizzata: «il paziente riferisce incidente stradale» – è del tutto insufficiente a dimostrare la dinamica di verificazione e dunque non può valere a fondare la domanda risarcitoria se non è assistita da altri elementi che la corroborano.
Una recente sentenza della Corte d’Appello di Napoli ha disconosciuto le dichiarazioni al Pronto soccorso della vittima di un investimento perché erano risultate incompatibili con la dinamica accertata. In particolare, la donna investita presentava una ferita da taglio al viso che era difficilmente spiegabile con l’investimento descritto, anche se un testimone aveva parlato di cocci di vetro a terra nel punto di caduta. Inoltre i testimoni avevano riferito di uno sbalzo del pedone investito, che era stato proiettato nell’aria per un metro e mezzo e poi era caduto violentemente al suolo, ma queste circostanze non trovavano alcun riscontro nella documentazione medica, che aveva refertato lesioni modeste. I giudici napoletani osservano che «un violento impatto avrebbe dovuto produrre lesioni contusive di un certo rilievo, che non sarebbero sfuggite all’attenzione dei sanitari». Perciò il risarcimento è stato negato.
Come comportarsi subito dopo il sinistro: le responsabilità penali per il reato di fuga e omissione di soccorso, la richiesta di risarcimento e le perizie.
Si tende a sottovalutare l’importanza di una leggera botta al braccio o di un contraccolpo alla cervice della testa. Ma, anche se lievi, le lesioni fisiche patite da chi è coinvolto in un sinistro cambiano radicalmente obblighi e, soprattutto, responsabilità degli altri automobilisti che, da amministrative, diventano penali. Ecco dunque cosa fare e cosa non fare in caso di incidente stradale con ferito lieve. Gli obblighi sono chiaramente indicati nell’articolo 189 del Codice della strada che qui di seguito
Fermarsi e fornire i dati della propria assicurazione
Dopo un incidente bisogna sempre fermarsi al fine di fornire, all’altro automobilista, indipendentemente dall’ammissione di responsabilità, i dati della propria patente e assicurazione.
Tuttavia, se non ci sono feriti, la violazione di tale obbligo implica una semplice sanzione amministrativa da 296 a 1.184 euro. Se però il danno procurato all’altra auto è grave può scattare anche l’obbligo di sottoporre a revisione l’auto e la sospensione della patente da 15 giorni a due mesi.
Posizionare il triangolo rosso
Bisogna lasciare le auto dove si trovano, posizionando il relativo triangolo fluorescente in modo da avvisare le auto provenienti nella stessa direzione di marcia del pericolo imminente. In particolare, il segnale va posto ad almeno 50 metri dal veicolo o da eventuali carichi dispersi sulla carreggiata, in modo che esso sia visibile da almeno 100 metri dagli automobilisti che sopraggiungono.
Attendere la polizia
Anche in presenza di un ferito lieve, i conducenti devono poi attendere l’arrivo della polizia affinché possa redigere il verbale ed effettuare i relativi accertamenti sulle responsabilità. Non è consentito allontanarsi, neanche per pochi minuti, dal luogo del sinistro. E ciò anche se sussiste l’autorizzazione dell’altro conducente, a meno che non sia questo stesso a voler andare via.
Chi se ne va dal luogo del sinistro senza attendere l’arrivo degli agenti commette il reato di fuga. La pena è piuttosto severa: si rischia la reclusione da 6 mesi a 3 anni, nonché la sospensione della patente di guida da 1 a 3 anni. Si è responsabili penalmente anche quando si minimizza l’accaduto e, ritenendo che l’altro conducente non si è fatto nulla, ci si allontana col consenso di quest’ultimo. L’obbligo di fermarsi, infatti, è necessario non tanto quando c’è un soggetto con necessità di soccorso, ma per il semplice fatto che bisogna attendere le autorità che dovranno redigere il verbale.
Compilazione del Cid
Indipendentemente dall’arrivo della polizia, le parti possono redigere il Cid, ossia il modulo di constatazione amichevole. Lo si fa solo se c’è accordo sulle responsabilità. La compilazione di tale documento non è obbligatoria ma serve ad accelerare le pratiche del risarcimento, riducendole da 90 a 60 giorni per i danni fisici e da 60 a 45 giorni per i danni al veicolo.
Se le parti non hanno il Cid possono sostituirlo con un documento dalle stesse compilato in quello stesso momento, in cui descrivono il sinistro (eventualmente accompagnato da un disegno con l’indicazione della posizione delle auto prima e dopo lo scontro), indicano il luogo e l’ora in cui lo stesso si è verificato, riportano il nome di eventuali testimoni e chiaramente dichiarano le relative responsabilità.
Richiesta di intervento dei soccorsi
Se l’altro conducente dovesse riportare ferite non lievi, bisogna chiamare i soccorsi o eventualmente trasportarlo in ospedale. La violazione di questo secondo obbligo può comportare una differente responsabilità penale: quella per il reato di omissione di soccorso, punita però solo se il conducente in questione si trova in una condizione di bisogno effettivo. In tal caso, la pena è la reclusione da un anno a tre anni. È inoltre prevista la sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore ad un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni.
Denuncia di sinistro
Dopo che la polizia ha redatto il verbale, gli automobilisti possono allontanarsi dal luogo del sinistro. Nei tre giorni successivi, ciascuno di questi deve fare la dichiarazione di sinistro alla propria assicurazione (la polizza però può accordare un termine superiore). Se è stato compilato il Cid, quest’ultimo costituisce “denuncia di sinistro”.
Il mancato rispetto del termine non implica in automatico la decadenza dal risarcimento del danno: l’assicurazione può tutt’al più rivalersi contro il proprio cliente che abbia ritardato la comunicazione solo se dimostra che questi ha agito in malafede e che dall’omissione ne è derivato per essa un danno.
Con la denuncia di sinistro, l’automobilista presenta anche la richiesta di risarcimento sia per i danni fisici che al mezzo.
La richiesta di risarcimento deve essere inoltrata alla propria assicurazione: questa è tenuta a risarcire il danneggiato e a rivalersi poi contro quella del colpevole.
Se l’altro conducente non era assicurato, il danneggiato deve invece rivolgere la richiesta di risarcimento al Fondo di garanzia vittime della strada.
Conferimento dell’incarico all’avvocato
Il danneggiato può gestire da solo la pratica di infortunistica stradale. Tuttavia, si è soliti incaricare un avvocato il quale viene poi pagato dall’assicurazione stessa. Il legale saprà consigliare al meglio il danneggiato spiegandogli tutti i passaggi che deve seguire per ottenere il giusto risarcimento che gli spetta.
Conservazione dei documenti, fatture e certificati medici
Una volta presentata la richiesta di risarcimento all’assicurazione bisogna poi documentare i danni subiti. Il che significa conservare tutte le fatture per spese eventualmente anticipate, il referto del pronto soccorso e tutti i successivi certificati medici.
Il conducente danneggiato non ha l’obbligo di farsi riparare subito l’auto per poi ottenere il rimborso, ma dovrà comunque farsi rilasciare un dettagliato preventivo da parte dell’officina.
Le perizie
Nel momento in cui l’assicurazione istruisce la pratica di risarcimento, nomina un liquidatore che valuta le prove offerte dal proprio assicurato. Viene poi nominato un perito che valuta i danni al mezzo e un altro che esegue una perizia medico-legale sul conducente valutando i danni da questi subiti. Prima della perizia, però, sarà bene avere la certezza di essere completamente guariti in modo da non lasciare fuori dal risarcimento eventuali voci spettanti. A tal fine, le assicurazioni richiedono un certificato medico di avvenuta guarigione.
Attenzione: l’assicurazione – così come il giudice – non è vincolata al contenuto del Cid, potendosene discostare (diversamente, si avallerebbero comportamenti fraudolenti in danno alle compagnie).
La causa
Se il danneggiato non è soddisfatto del risarcimento propostogli dall’assicurazione può agire in giudizio contro quest’ultima dinanzi al giudice. Nella causa va citato anche l’altro automobilista, il quale però non è tenuto a costituirsi, potendo lasciare il compito della propria difesa alla stessa assicurazione con cui ha contratto la polizza.
La responsabilità penale
In presenza di lesioni lievi, al di sotto del 9% di invalidità, è da escludere qualsiasi tipo di processo penale nei confronti del responsabile del sinistro.
Danno cagionato da cose in custodia; responsabilità oggettiva e caso fortuito; diritto del danneggiato; risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale; presenza di verdura sul pavimento del supermercato; pavimento bagnato e scivoloso.
In quali casi sussiste la responsabilità del supermercato? Quando si configura la condotta colposa del personale? In caso di caduta del cliente nel supermercato è sempre escluso il concorso di responsabilità del danneggiato? Per conoscere le risposte a queste e a tante altre domande, leggi le ultime sentenze.
Caduta supermercato: riparto dell’onere probatorio
L’honus probandi posto a carico dell’attore-danneggiato nella responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c., deve fornire la dimostrazione del fatto costitutivo della responsabilità oggettiva (composto da fatto lesivo, danno ingiusto e rapporto di causalità) cioè provare che il danno derivi da fatto della cosa in custodia o, in altri termini, che la cosa, per le sue caratteristiche, abbia assunto il ruolo di condicio necessaria al prodursi del danno, senza necessità di provare altresì la condotta omissiva del custode, produttrice del danno, mentre il convenuto dovrebbe fornire la prova liberatoria del fortuito, accertando volta a volta che la cosa fosse uno strumento nelle mani del danneggiato, così che il fattore esterno abbia interrotto il legame cosa-custode (nella specie: una cliente era caduta all’interno di un supermercato aveva urtato contro un pan-cale di legno mal posizionato ed era caduta a terra).
Tribunale Arezzo, 08/10/2020, n.449
Acini d’uva sul pavimento di un supermercato
L’art. 2051 c.c. non prevede una responsabilità aquiliana, ovvero non richiede alcuna negligenza nella condotta che si pone in nesso eziologico con l’evento dannoso, bensì stabilisce una responsabilità oggettiva, che è circoscritta esclusivamente dal caso fortuito, e non, quindi, dall’ordinaria diligenza del custode.
(Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, pur avendo accertato che la ricorrente era caduta a causa di alcuni acini d’uva presenti sul pavimento di un supermercato, aveva escluso la responsabilità del gestore ritenendo, da un lato, che la condotta della danneggiata, consistita nel non prestare attenzione alla presenza dell’insidia, fosse stata gravemente imprudente, e perciò sufficiente da sola ad integrare il caso fortuito e, dall’altro, che sarebbe stato, invece, impossibile per il personale addetto rimuovere oggetti di dimensioni tanto piccole, sparsi verosimilmente da qualche cliente poco prima dell’infortunio).
Cassazione civile sez. VI, 16/05/2017, n.12027
Ostacolo a terra tra i banchi di un supermercato
La presenza di un ostacolo a terra (cartone) tra i banchi di un supermercato non costituisce un fattore di rischio anomalo per l’ambiente, nel caso in cui l’oggetto in questione sia chiaramente visibile. Lo stesso rischio è infatti correlato ad attività non impedibili quali il momentaneo abbandono del carrello o della borsa della spesa da parte dei clienti o il deposito di merce fuori scaffale da parte della gestione. In caso di caduta non opera quindi il meccanismo responsabilitario di cui all’art. 2051 c.c.
Tribunale Genova, 12/04/2013
Responsabilità del supermercato: quando si configura?
Sussiste la responsabilità del supermercato, ai sensi dell’art. 2051 c.c., in relazione alla caduta sul pavimento bagnato del reparto frutta e verdura, nella quale sia incorsa parte attrice, e alle conseguenze invalidanti dalla medesima subite. In tema di danni da cosa in custodia, non assume alcuna rilevanza il comportamento del custode essendo, il fondamento della responsabilità, il rischio gravante sul custode, per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano dal caso fortuito.
Nel caso di specie non risulta dedotto né provato, da parte del convenuto, alcun caso fortuito idoneo a interrompere la serie causale che ha determinato il verificarsi dell’evento lesivo, essendo provato per testimoni e accertato con consulenza tecnica il nesso di causalità tra il pavimento in custodia del convenuto e le lesioni subite da parte attrice.
Ne deriva l’affermazione del diritto del danneggiato a veder risarcito il danno patrimoniale e non, dovendosi ricomprendere quest’ultimo quale categoria generale e unitaria, non suddivisibile in sottocategorie, comprensiva del danno all’integrità psicofisica e di tutti i pregiudizi non direttamente incidenti su fonti di reddito del soggetto leso o comunque non connotati da rilevanza economica ma comunque idonei ad alterare capacità, abitudini e aspetti relazionali dello stesso costringendolo a scelte di vita diverse.
Tribunale Trento, 01/08/2012, n.726
Caduta sul pavimento bagnato e scivoloso
Ai fini dell’affermazione della responsabilità oggettiva per cose in custodia ex art. 2051 c.c. della società gestrice di ipermercato per la caduta di un cliente sul pavimento bagnato e scivoloso prossimo al banco verdure, è sufficiente il nesso di causalità tra la cosa e l’evento lesivo, senza che abbia rilevanza l’eventuale comportamento colposo del danneggiante.
E’ da escludersi un concorso di responsabilità del danneggiato, perché poteva ragionevolmente attendersi che – in condizioni di normalità – il pavimento avrebbe dovuto essere asciutto, anche perché il supermercato è un luogo di grande afflusso di clienti.
Tribunale Savona, 04/07/2012
Supermercato: caduta causata da una foglia di insalata
In caso di caduta occorsa presso le casse di un supermercato a causa di una foglia di insalata, seguita da altra caduta nel tentativo di lasciare il posto, non potendo discernere quale delle due abbia cagionato il danno, ritenuto che la prima costituisca l’antecedente eziologico necessario alla causazione del secondo, avendo avuto quest’ultimo un’efficacia causale tale da costituire ulteriore contributo nel produrre il pregiudizio, entrambe le cadute devono ritenersi concorrenti nella misura del 50% ciascuna nella produzione del danno.
Tribunale Trieste, 12/08/2011, n.942
Responsabilità per danni da cose in custodia
Ai fini della configurabilità della fattispecie oggettiva di cui all’art. 2051 c.c. (responsabilità per danni da cose in custodia), non è indispensabile che il bene custodito abbia un’intrinseca pericolosità; ne consegue che, ai sensi del citato articolo, tutte le cose possono costituire causa di danno, quale che sia la loro struttura o qualità, siano esse inerti o in movimento. Anche una foglia d’insalata, pur non avendo un’autonoma pericolosità, può essere conseguentemente ritenuta idonea a produrre un danno, ove la sua presenza (nel caso in esame poiché aveva reso scivoloso il pavimento di un supermercato e provocato la caduta del cliente) dia luogo a un evento dannoso.
Corte appello Firenze sez. II, 25/05/2010, n.851
Risarcimento del danno morale
Deve essere accordato il risarcimento del danno morale all’attrice caduta su pavimento bagnato e scivoloso di ipermercato perché è concretamente riscontrabile una condotta colposa del personale dell’ipermercato, di cui risponde la società datrice di lavoro ex art. 2049 c.c. Il pavimento, infatti, avrebbe dovuto essere asciutto anche perché il supermercato è al suo interno un luogo di grande afflusso di clienti e, pertanto, la probabilità di caduta di qualcuno di essi per terra sul pavimento bagnato sono molto di più che non in un luogo di privata abitazione.
Tribunale Milano sez. X, 09/12/2008, n.14528
Concorso di responsabilità del danneggiato: quando è escluso?
Ai fini dell’affermazione della responsabilità obiettiva per cose in custodia ex art. 2051 c.c. della società gestrice di ipermercato per la caduta di una cliente sul pavimento bagnato e scivoloso prossimo al banco verdure è sufficiente il semplice nesso di causalità tra la cosa e l’evento lesivo, senza che abbia rilevanza l’eventuale comportamento colposo del danneggiante.
È da escludersi un concorso di responsabilità della danneggiata caduta sul pavimento bagnato e scivoloso di un ipermercato perché poteva ragionevolmente attendersi che – in condizioni di normalità – il pavimento avrebbe dovuto essere asciutto anche perché il supermercato è al suo interno un luogo di grande afflusso di clienti e, pertanto, la probabilità di caduta di qualcuno di essi per terra sul pavimento bagnato sono molto di più che non in un luogo di privata abitazione.
Tribunale Milano sez. X, 09/12/2008, n.14528
Pezzi di verdura sparsi sul pavimento del supermercato
Ai fini della responsabilità del proprietario o custode ex art. 2051, se la cosa non è intrinsecamente pericolosa, occorre che un fattore causale anche umano intervenga nella cosa e si innesti nella serie eziologica; tale fattore peraltro deve essere esterno, e non può essere costituito dalla condotta colposa o dolosa del custode, che deve essere invece provata secondo i normali canoni di cui all’art. 2043.
Pertanto, nel caso di accidentale caduta di un cliente in un supermercato a causa di alcuni pezzetti di verdura sparsi sul pavimento, l’eventuale responsabilità va accertata ai sensi dell’art. 2043 c.c. e non dell’art. 2051, e sussiste solo se l’entità della sporcizia o altre circostanze fanno sorgere in capo al titolare uno specifico dovere di rimozione.
Corte appello Milano, 15/05/1998
Caduta: responsabilità e risarcimento dei danni
Il pavimento di piastrelle di un supermercato va ritenuto di per sè insidioso e tale da far sorgere, in caso di caduta, la responsabilità ed il conseguente obbligo al risarcimento dei danni in capo al gestore. Grava sul gestore di un esercizio aperto al pubblico (nella specie, un supermercato) l’obbligo generale di prudenza e diligenza nell’allestire i locali e mantenerli privi di insidia per la deambulazione al fine di evitare il prevedibile rischio di cadute dei clienti intenti ad esaminare la merce esposta sugli scaffali.
Tribunale Verona, 04/06/1997
Secondo la Cassazione, nulla si può pretendere se a causare il sinistro è il comportamento della vittima al volante.
Non sempre la famiglia di chi rimane vittima di un incidente mortale ha diritto al risarcimento. Può capitare anche che quando il decesso dell’automobilista avviene a causa di un sistema di protezione stradale in condizioni inadeguate non ci sia la possibilità di ottenere l’indennizzo. Il motivo lo ha spiegato la Cassazione in una recente sentenza in cui ricorda un fattore fondamentale: quando si verifica un sinistro, occorre andare a monte dei motivi che lo hanno provocato e non partire dalle conseguenze. In sostanza, la Suprema Corte ha spiegato, in caso di incidente mortale, quando non c’è il risarcimento.
Quei motivi a monte a cui fanno riferimento i giudici si possono riassumere in uno solo: l’atteggiamento del conducente al volante della sua auto. Di fronte a una condotta imprudente, sostiene la Cassazione, c’è poco da pretendere. Vediamo perché.
Le regole di comportamento del conducente
Una condotta sbagliata al volante, dunque, può far passare il conducente dalla parte del torto anche in caso di incidente mortale e di decesso provocato da un fattore esterno.
Il Codice della strada impone una serie di regole di comportamento che vanno sempre e comunque rispettate. Altrimenti, come sostiene la Cassazione nella sentenza in commento, c’è poco da pretendere.
L’articolo 141 del Codice, ad esempio, stabilisce che «è obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione». Non solo: l’automobilista è tenuto a conservare sempre il controllo del veicolo che sta guidando. Ecco perché è sempre necessario moderare la velocità.
Ma non è solo il «piede pesante» sull’acceleratore quello che, in caso di incidente mortale, può negare il diritto al risarcimento. Il Codice obbliga anche ad allacciare sempre le cinture di sicurezza, ancor prima di avviare l’auto. Cinture che devono essere indossate anche dal passeggero e da chi occupa i sedili dietro.
E ancora: la sicurezza di tutti richiede, ad esempio, di non utilizzare i cellulari alla guida se non con auricolare o viva voce in modo da tenere sempre le mani sul volante; di non mettersi a messaggiare con il telefonino anche quando si è in coda; di non bere alcolici (o, almeno, di non esagerare per restare sotto la soglia consentita) prima di mettersi alla guida; di fermarsi ogni tanto durante i viaggi lunghi per non sottovalutare la stanchezza; di controllare che l’auto sia sempre in perfette condizioni di sicurezza (freni, pneumatici, luci, ecc.). E così via. Sembrano delle cose scontate, delle regole più dettate dal buon senso che dal Codice della strada. Eppure, sono le norme più disattese dagli automobilisti e, quindi, alla base della maggior parte degli incidenti stradali. Anche mortali.
Quando è negato il risarcimento in caso di incidente mortale
Una recente sentenza della Cassazione ha stabilito che non si ha diritto al risarcimento quando l’incidente mortale è stato causato dalla mancata prudenza del conducente, anche se il decesso è avvenuto per un fattore esterno a lui non imputabile.
La Suprema Corte, in sostanza, sottolinea la differenza tra la causa e la conseguenza del sinistro. Ed è la prima alla base del negato risarcimento.
La vicenda di cui si sono occupati gli Ermellini riguarda il caso di un automobilista deceduto dopo che la sua auto era finita fuori strada e trafitta da un guard-rail divelto. La famiglia della vittima avrebbe voluto un risarcimento puntando il dito sull’Anas, proprietario della strada: a sentire i parenti, il loro congiunto «aveva perso il controllo del veicolo a causa di un dislivello esistente sul manto stradale ed era deceduto a causa del forte impatto dell’auto con un guard-rail che si era imprevedibilmente divelto per effetto dell’urto e si era infilato nell’abitacolo».
La Cassazione, invece, decide che il dito debba essere puntato altrove, cioè proprio sull’automobilista. E il ragionamento è semplice: se il conducente avesse rispettato il Codice della strada, l’incidente non sarebbe accaduto. Se fosse stato rispettato il limite di velocità, quel dislivello non avrebbe provocato l’incidente, dato che – come detto in precedenza – il Codice impone all’automobilista di conservare sempre il controllo del veicolo che sta guidando. Il guard-rail divelto, dunque, è stata la conseguenza del sinistro e non la causa, imputabile – secondo i giudici di legittimità – all’atteggiamento tenuto al volante dalla vittima e del mancato rispetto delle primordiali norme di sicurezza: oltre alla velocità eccessiva (come risulta dal verbale dei Carabinieri intervenuti sul posto), gli pneumatici erano in condizioni precarie e la cintura non era stata allacciata.
Nelle cause risarcitorie derivante dalla responsabilità medica al paziente spetta dimostrare il nesso di causa tra la condotta del medico e il danno riportato, al medico invece di aver rispettato pienamente le leges artis o le best practices
La prova del nesso di causa è a carico del paziente
La donna che dopo un intervento di mastoplastica additiva, rileva la presenta di un inestetismo, consistente nella lieve asimmetria del seno, deve dimostrare, se vuole ottenere il risarcimento, il nesso di causa tra la condotta e il danno riportato. La stessa non può limitarsi a richiamare le conclusioni, tra l'altro non totalmente a suo favore, della ATP effettuata a distanza di quasi nove anni dall'intervento. Occorrono prove maggiori ai fini dell'accoglimento della domanda risarcitoria da responsabilità medica. Queste le conclusioni del Tribunale di Reggio Emilia nella decisione del 16 febbraio 2022.
Asimmetria mammaria dopo mastoplastica additiva
Una donna si sottopone a un intervento di chirurgia estetica al seno. A distanza di otto anni e mezzo promuove un accertamento tecnico preventivo art. 696 c.p.c nei confronti del medico che l'ha operata e del Centro medico presso cui l'intervento è stato eseguito, ritenendo la sussistenza della colpa medica e chiedendo la relativa quantificazione dei danni subiti.
In seguito la paziente promuove giudizio di merito sempre verso la struttura e il medico perché l'accertamento ha dimostrato la erronea esecuzione dell'intervento che ha prodotto inestetismi derivanti dalla diversa forma e dimensione delle due mammelle. Chiede quindi a titolo di risarcimento la somma di Euro 3.900,30.
Il Centro medico resiste in giudizio (contumace il medico) e contesta la domanda perché la leggera asimmetria mammaria è frutto di una complicanza che è stata ben descritta alla paziente, che quindi ne era a conoscenza.
Non spetta il risarcimento al paziente che non prova il nesso
Il Tribunale di Reggia Emilia chiamato a pronunciarsi precisa prima di tutto che: "spetta innanzitutto al paziente provare il nesso causale tra l'insorgere della patologia e la condotta del medico; solo in un secondo momento, laddove il paziente abbia dato prova di tale ciclo causale, il sanitario deve provare il pieno rispetto delle leges artis o comunque delle best practices, evidenziando la causa non imputabile che gli ha reso impossibile fornire la prestazione corrispondente ai canoni di professionalita? dovuti."
Ne consegue che se la causa del danno è incerta perché il paziente non prova il nesso tra condotta del medico e patologia, il giudice non può che rigettare la domanda.
Passando quindi all'esame del caso di specie, il Tribunale rileva che l'accertamento tecnico preventivo effettuato a distanza di quasi nove anni e in assenza di documentazione intermedia prodotta da parte attrice ha reso difficile l'espletamento della procedura peritale, la quale ha concluso per il danno si è verificato probabilmente per la "contrattura capsulare, evento prevedibile ma non prevenibile dai Sanitari, per cui non sarebbe rilevabile alcuna censura."
In sostanza dall'ATP è emerso che i modesti inestetismi quantificati nella percentuale dello 2,5% di danno biologico non sono sicuramente riconducibili alla colpa medica e che la lieve dismorfia è frutto di una contrattura capsulare, prevedibile ma non prevenibile.
La difesa di parte attrice tuttavia, nonostante tali incertezze, nulla ha osservato al riguardo, per cui la domanda deve essere rigettata, con conseguente condanna alle spese di lite in favore del Centro medico costituitosi.
Danno non patrimoniale: che cos’è? In quali casi la vittima di un sinistro ha diritto al risarcimento del danno morale?
Secondo la legge, la persona lesa nei propri diritti può chiedere non solo il risarcimento del danno patrimoniale, ma anche quello non patrimoniale. Ad esempio, la vittima di stalking che subisce il danneggiamento violento dei propri beni potrà reclamare non solo il risarcimento del danno economico (riguardante gli oggetti rovinati) ma anche quello non economico, inerente al turbamento subito a causa della condotta persecutoria. Con questo articolo ci soffermeremo su un particolare aspetto: che risarcimento spetta in caso di sinistro stradale?
La Corte di Cassazione ha recentemente spiegato che, in caso di incidente stradale, il danno morale (che rientra nel risarcimento non patrimoniale) non spetta automaticamente, ma solo se rigorosamente dimostrato. Questo significa che i parametri adottati dalla giurisprudenza sono errati se prevedono “d’ufficio” l’attribuzione del risarcimento del danno morale. Se l’argomento ti interessa, prosegui nella lettura: vedremo insieme che risarcimento spetta in caso di sinistro stradale.
Sinistro stradale: come si risarcisce il danno?
A seguito di un incidente stradale, la vittima potrebbe maturare il diritto a due tipi di risarcimento: quello per il danno patrimoniale e quello per il danno non patrimoniale.
Il danno patrimoniale si riferisce alla perdita economica direttamente subita dalla vittima di un illecito. Ad esempio, chi subisce un danno alla propria auto patisce un danno patrimoniale uguale alla perdita di valore del suo bene.
Il danno patrimoniale è quindi facilmente calcolabile, in quanto corrisponde alla diminuzione patrimoniale conseguente all’illecito.
Il danno non patrimoniale corrisponde invece alla lesione di un interesse protetto dall’ordinamento giuridico.
Il danno non patrimoniale è quello che il soggetto soffre in seguito alla violazione di un valore della personalità umana e include tutti i pregiudizi non immediatamente quantificabili economicamente, quali la sofferenza interiore, l’invalidità fisica e psichica, il peggioramento della qualità della vita di una persona.
Danno non patrimoniale: quando spetta?
Il danno non patrimoniale è risarcibile soltanto quando dimostrato, esattamente come il danno patrimoniale. Chi vuole ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale dovrà provare, ad esempio, di aver subito un danno alla salute tramite una perizia medica, eventualmente calcolando anche il proprio grado di invalidità (temporanea o permanente).
Non si può quindi pretendere in automatico il risarcimento del danno non patrimoniale ogni volta che si ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale. Ma di tanto parleremo a breve.
Danno non patrimoniale: in cosa consiste?
Il tipico danno non patrimoniale è quello alla salute: si parla in questi casi di danno biologico. Il danno biologico ricomprende tutte le lesioni alla propria integrità psicofisica: non soltanto quindi le malattie e le ferite del corpo, ma anche quelle della mente e della psiche.
Ad esempio, chi subisce un’aggressione fisica avrà diritto al risarcimento del danno biologico, nel caso in cui riporti lesioni personali; lo stesso dicasi per le ferite riportate a seguito di un sinistro stradale.
Altra ipotesi tipica di danno non patrimoniale è il danno morale, definibile come l’ingiusto turbamento dello stato d’animo del danneggiato o anche nel patema d’animo o stato d’angoscia generato dall’illecito.
Il danno morale è dunque il dolore interiore che subisce una persona che è stata vittima di un evento antigiuridico. Si pensi alla depressione, all’ansia, ai problemi psicologici derivanti da un evento traumatico causato da una condotta illecita altrui.
Ad esempio, la vittima di stalking potrà a buon diritto chiedere il risarcimento del danno morale per il grave stato d’ansia a lungo patito per via della persecuzione subita.
Risarcimento danno non patrimoniale: come si calcola?
Il risarcimento del danno non patrimoniale si calcola in base ad alcuni parametri individuati dalla giurisprudenza, i quali tengono conto di diversi fattori come il grado di invalidità (temporanea o permanente) conseguente all’illecito oppure l’età del danneggiato.
I parametri più famosi sono quelli elaborati dai tribunali di Roma e di Milano, criteri che vanno sotto il nome di tabelle, in quanto elencano in maniera puntuale il risarcimento per il danno non patrimoniale che spetta alle vittime di lesioni all’integrità psico-fisica.
Incidente stradale: che risarcimento spetta?
Nel caso di sinistro stradale può spettare tanto il risarcimento del danno patrimoniale quanto quello per il danno non patrimoniale. Si pensi alla vittima che rimanga gravemente ferita: in un caso del genere, spetterà il risarcimento per il danno alla propria salute (danno biologico).
Eventualmente, in caso di sinistro, si può avere diritto anche al risarcimento del danno morale. Si pensi al motociclista che subisce lesioni permanenti al volto, patendo anche una grave sofferenza morale, oppure a chi è costretto in ospedale tra la vita e la morte per lungo tempo in stato di coscienza.
Come anticipato, il risarcimento del danno morale può essere riconosciuto solamente nel caso in cui questo sia debitamente provato. Secondo la Cassazione, infatti, il danno morale è completamente autonomo da quello biologico, non potendo essere riconosciuto solamente per via di un danno alla salute.
Secondo la Suprema Corte, il danno morale è autonomo dal biologico laddove non può essere verificato con un accertamento medico-legale,
Secondo la Cassazione, dunque, non è giustificabile l’incorporazione del danno morale nel biologico: il secondo, infatti, è indicato come lesione che incide sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto, e quindi sulla dimensione esterna, mentre il danno morale si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d’animo, dunque nella dimensione interiore della persona.
Peraltro, non può essere dimenticato come, di solito, nel risarcimento del danno biologico sia già ricompreso anche il calcolo di una generica sofferenza morale; pertanto, è possibile ottenere il risarcimento di un danno morale autonomo e distinto da quello biologico solo se questo è adeguatamente provato, cioè se è dimostrata la presenza di una sofferenza, diversa dal danno biologico, causata dalle lesioni subite.
In presenza del sole all'altezza degli occhi il conducente è tenuto a rallentare, fermarsi e attendere che il fenomeno che gli impedisce di avere una buona visibilità venga meno, se procede e investe il pedone è responsabile
Il sole non rende impossibile avvistare il pedone
Quando il sole abbaglia il conducente alla guida, questi deve rallentare, fermarsi e attendere che passi la causa che impedisce la visibilità. Va quindi condannato il conducente che investe un pedone, anziano, che attraversava la strada con movimenti lenti e tali che il conducente poteva ben percepire se avesse rallentato. Non viene quindi smentito dalla sentenza n. 18748/2022 della Cassazione il principio consolidato che esclude che l'abbagliamento del sole costituisca un caso fortuito.
Omicidio colposo per investimento di un pedone
Un soggetto viene ritenuto responsabile dell'omicidio di un soggetto e di omissione di soccorso. In sede di appello, anche in virtù della scelta del giudizio abbreviato, viene condannato alla pena della reclusione, sospesa condizionalmente, di due anni e alla sospensione della patente per 4 anni. Confermate inoltre le statuizioni civili.
Questi gli eventi che hanno condotto al sinistro stradale mortale. L'imputato, alla guida di una autovettura, procedeva alla velocità moderata di 35 km orari, ha investito il pedone all'altezza di un incrocio, che a causa dell'urto veniva sbalzato sul manto stradale. L'investitore nella immediatezza dei fatti si è dato alla fuga, ma ha avvisato due passati della presenza di un uomo a terra.
I carabinieri intervenuti sul posto, dopo aver constatato la morte del pedone, grazie alla testimonianza delle donne a cui era stata segnalata la presenza dell'uomo sull'asfalto, procedevano a identificare il responsabile.
Sole e condotta imprudente del pedone rilevano
Il difensore dell'imputato ricorre alla Corte di Cassazione sollevando tre motivi di doglianza.
- Prima di tutto, alla luce della velocità moderata con cui procedeva il conducente e del concorso di colpa del pedone, che ha attraversato diagonalmente un incrocio non si comprende in che modo si sarebbe dovuto comportare in alternativa l'imputato. Per la Corte infatti il conducente avrebbe dovuto tenere una velocità ancora inferiore sulla base di una motivazione del tutto illogica, ritenendo che la presenza di ostacoli improvvisi debba in sostanza essere prevista perché non costituisce un evento eccezionale.
- In secondo luogo contesta l'omissione di soccorso addebitata in quanto nel caso di specie il soggetto, morto sul colpo, come dimostrato dall'autopsia, non aveva bisogno di essere assistito.
- Con il terzo motivo infine lamenta l'eccessiva severità della pena inflitta.
Il pedone era anziano, il sole non è un caso fortuito
La Cassazione rigetta il ricorso in quanto dalle stesse dichiarazioni dell'imputato emerge la sua responsabilità. Lo stesso ha infatti dichiarato di non essere riuscito ad evitare il pedone al centro della carreggiata, in prossimità di un incrocio "attesa anche la presenza del sole all'altezza del viso."
Ne consegue che la condotta del pedone, anche se imprudente, non è stata così improvvisa da non poter essere evitata. La velocità in questo caso non poteva considerarsi adeguata anche perché il pedone era anziano e camminava lentamente, inoltre sull'asfalto non sono stati rinvenuti segni di frenata.
Giurisprudenza è costante nel ritenere che "in caso di omicidio colposo il conducente va esente da responsabilità quando, per motivi estranei al suo obbligo di diligenza, si sia trovato nella impossibilità di avvistare il pedone e di notarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile.
Né può trascurarsi l'abbagliamento del sole addotto dal conducente che però, per consolidata giurisprudenza "non integra un caso fortuito e perciò non esclude la penale responsabilità per i danni che ne siano derivati alle persone. In una tale situazione, infatti, il conducente è tenuto a ridurre la velocità e ad interrompere la marcia e ad attendere di superare gli effetti del fenomeno impeditivo della visibilità."
Infondata la censura relativa all'omissione di soccorso. L'omicidio colposo aggravato dalla fuga può ben concorrere con l'omessa prestazione di assistenza stradale perché le fattispecie di cui ai commi 6 e 7 dell'art. 189 codice della Strada costituiscono due distinte ipotesi di reato.
Non merita accoglimento neppure la doglianza sull'entità della pena perché sul punto la motivazione della sentenza non è contraddittoria né illogica.
In quali casi si può ottenere il risarcimento dei danni provocati dalle cose comuni? Quando c’è il caso fortuito? Come diffidare l’amministratore?
Sei andato a trovare un tuo amico che abita in condominio. Percorrendo le scale, a causa di un gradino rotto, sei caduto procurandoti una piccola frattura. Sei certo che, se lo scalino non fosse stato rovinato, non saresti mai e poi mai caduto a terra. Pensi quindi di chiedere il risarcimento dei danni. Come fare? Come e quando fare la denuncia di sinistro in condominio?
Come vedremo, il condominio è responsabile per tutti i danni causati dall’edificio; ciò perché c’è una precisa norma di legge che stabilisce che tutti sono responsabili degli incidenti provocati dalle cose che si hanno in custodia. Cosa significa? In soldoni, vuol dire che il condominio deve risarcire se una tegola si stacca e cade su un’auto, se una persona inciampa in una buca del cortile, se la cattiva manutenzione causa infiltrazioni nella proprietà privata di uno dei condòmini.
Con questo articolo ci occuperemo in maniera specifica di come e quando fare una denuncia di sinistro avvenuto in condominio, quando ad essere danneggiato è un soggetto estraneo alla compagine, cioè una persona che non è condomino.
Responsabilità del condominio per i sinistri: come funziona?
Secondo la legge (art. 2051 cod. civ.), «Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito». Si tratta di una forma di responsabilità oggettiva che trova applicazione anche in ambito condominiale, quando una persona (indifferentemente condomino o terzo estraneo alla compagine) subisce un danno da una delle parti comuni dell’edificio.
Si pensi al classico caso della tegola che si stacca dal tetto e precipita su un’auto, oppure al soggetto che rovini percorrendo le scale.
In questi casi, l’intero condominio può essere chiamato in giudizio per rispondere del danno; infatti, quest’ultimo non si sarebbe prodotto se il condominio fosse stato più attento, ad esempio riparando i guasti oppure manutenendo le parti comuni.
Responsabilità condominio: cos’è il caso fortuito?
L’unico modo per andare esente da responsabilità è quello di dimostrare il caso fortuito, cioè un evento imprevedibile che è stato causa del danno.
Ad esempio, se una violenta tromba d’aria stacca una parte di intonaco della facciata, che poi rovina su un’auto in sosta, non ci sarà nessuna colpa del condominio se dimostra che il sinistro è attribuibile esclusivamente alla forza inarrestabile della natura e non a un difetto di manutenzione.
Al contrario, se nel verde condominiale c’è un albero dal tronco marcio che viene abbattuto definitivamente da una raffica di vento, non si potrà di certo dire che la colpa sia stata degli agenti atmosferici.
Denuncia sinistro condominiale: come farla?
La persona che ritiene di aver subito un danno a causa della scarsa manutenzione delle parti comuni dovrà innanzitutto diffidare e costituire in mora il condominio.
Per farlo, occorrerà inviare una raccomandata con avviso di ricevimento all’amministratore, soggetto che rappresenta verso l’esterno l’intero condominio. In alternativa, è possibile inviare una pec.
All’interno di questa denuncia bisognerà indicare in maniera dettagliata i fatti accaduti, avendo cura di specificare data e luogo del sinistro, danni riportati e la presenza di eventuali testimoni. Infine, bisogna chiedere espressamente che i danni vengano risarciti entro un determinato lasso di tempo (in genere, si concedono 15 giorni).
Non c’è bisogno che la diffida sia redatta da un avvocato: quella del danneggiato ha esattamente lo stesso valore, almeno per il momento.
Ricapitolando: se sei caduto in una parte comune del condominio (cortile, scale, androne, ecc.) oppure un bene comune dell’edificio (tegola, albero, ecc.) ti ha causato un danno, puoi chiedere il risarcimento inviando una raccomandata a/r all’amministratore di condominio.
Denuncia sinistro condominiale: quando farla?
Come appena detto sul finire del precedente paragrafo, la denuncia per il sinistro condominiale va fatta solo se il danno è provenuto da una parte comune del condominio: è il caso del gradino rotto delle scale che causa una caduta, della tegola del tetto che colpisce un passante oppure un’auto, ecc.
Non si potrà invece denunciare il sinistro all’amministratore se il danno è stato provocato da una cosa di proprietà privata. Ad esempio, chi cade in un appartamento a causa del pavimento scivoloso non potrà mai chiedere i danni all’intero condominio; lo stesso nel caso di caduta di calcinacci dal balcone di proprietà esclusiva.
Va poi fatta un’altra considerazione. Se è vero che il presupposto per una denuncia di sinistro in condominio è che il danno sia prodotto da una cosa comune, è altrettanto vero che non sempre si ha diritto, solo per questo fatto, al risarcimento dei danni.
Secondo la giurisprudenza, la circostanza che la vittima non si sia avveduta d’una insidia percepibile con l’ordinaria diligenza costituisce, per il proprietario della cosa dannosa, un “caso fortuito”, come tale idoneo a liberare il condominio dalla presunzione di responsabilità.
In poche parole, per ottenere il risarcimento il danneggiato deve dimostrare non solo il sinistro avvenuto, ma anche che questo non sia stato evitabile utilizzando la normale accortezza.
E così, se una persona scivola per le scale pur sapendo che c’è un gradino rotto da tempo, e per giunta adeguatamente segnalato, allora non potrà accampare scuse: la caduta non sarà attribuibile al condominio.
In definitiva, possiamo dire che la denuncia di sinistro va fatta al condominio solo se il danno è stato causato da una parte comune e non era evitabile utilizzando la normale attenzione richiesta all’uomo medio.
Denuncia sinistro condominio: cosa succede dopo?
Se la denuncia di sinistro fatta all’amministratore di condominio non ha ottenuto risultati, allora non resterà che affidarsi a un avvocato affinché proceda a sua volta con una diffida e, in caso di ulteriore rifiuto, con un’azione giudiziaria.
Se, invece, l’amministratore ritiene effettivamente di dover risarcire il danno, allora è molto probabile che coinvolga l’assicurazione del condominio affinché paghi l’indennizzo.
La denuncia all’assicurazione deve essere fatta tempestivamente dall’amministratore per non rischiare di perdere la copertura offerta dalla polizza.
L’entità del danno viene stabilita dal liquidatore tramite la perizia svolta da un libero professionista incaricato dalla compagnia assicurativa.
Dopodiché, l’assicurazione fa una proposta al danneggiato: se questi l’accetta, la pratica si riterrà conclusa; in caso contrario, non resterà che andare in giudizio.
La vittima del sinistro in condominio può anche accettare il risarcimento dell’assicurazione solamente in acconto sul maggior importo che ritiene che gli spetti. In questo caso, la differenza andrà comunque recuperata agendo in tribunale.
Il Cid è vincolante? Si può modificare il suo contenuto e che succede se l’assicurazione non ne tiene conto?
L’assicurazione è obbligata a tenere conto del Cid una volta che questo è stato debitamente compilato e firmato dagli automobilisti? Partiamo col dire che, dopo un incidente stradale, non è obbligatorio firmare il Cid (la cosiddetta «Convenzione di indennizzo diretto», anche conosciuta come «modulo di constatazione amichevole). Esso serve principalmente ad accelerare i tempi per il risarcimento, riducendoli da 90 a 60 giorni per i danni a persone e da 60 a 45 per i danni a cose.
Le parti potrebbero non trovare un accordo sulle rispettive responsabilità e così decidere di presentare alle rispettive assicurazioni, all’atto della denuncia di sinistro, una diversa ricostruzione dei fatti.
Tuttavia il Cid, una volta firmato, diventa vincolante per gli automobilisti, i quali non potranno più discostarsi dalla ricostruzione in esso contenuta e congiuntamente accettata.
Ma che valore ha il modulo di constatazione amichevole nei confronti dei terzi o della compagnia? L’assicurazione è obbligata a tenere conto del Cid? Ecco alcuni importanti chiarimenti.
Valore del Cid
L’articolo 143 del Codice delle assicurazioni afferma che «Quando il modulo sia firmato congiuntamente da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro si presume, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso».
Da tale affermazione si può ricavare la seguente regola: il Cid, se firmato da entrambe le parti, vincola solo queste ultime, ma non anche l’assicurazione o (in caso di contenzioso) il giudice. Questi pertanto potrebbero discostarsi dalla ricostruzione del sinistro riportata dagli automobilisti nel modulo di constatazione amichevole.
Cid: regole da sapere
Sulla base di quanto abbiamo appena detto, possiamo ricavare una serie di conseguenze pratiche:
- il Cid può essere anche firmato da un solo conducente, ma in tal caso ha valore solo per questi e non per la controparte; esso varrà come semplice denuncia di sinistro;
- il Cid, se firmato da entrambi i conducenti, vincola gli stessi: pertanto, non è più modificabile, a meno che una parte dimostri, con prove effettive e concrete, di essere caduta in errore per via dello shock del momento o di essere stata minacciata (anche in forma tacita) dell’altro conducente il quale abbia manifestato un comportamento aggressivo e violento;
- la compagnia assicuratrice può fornire la «prova contraria»: può cioè dimostrare l’inattendibilità del Cid, la sua non coincidenza con l’effettiva dinamica del sinistro e così negare il risarcimento. In altri termini, nonostante il modulo di constatazione amichevole sia stato firmato da entrambi i conducenti, l’assicurazione può non tenerne conto e, per l’effetto, negare il risarcimento;
- anche il giudice non è vincolato dal Cid: nel caso in cui il danneggiato sia costretto a fare causa alla propria compagnia per ottenere il risarcimento, il modulo di constatazione amichevole non è una prova legale.
Cid poco chiaro: ha valore?
Secondo la Cassazione ord. n. 7415/21., non ha valore il Cid poco chiaro che non combacia con le altre risultanze probatorie. Pertanto, non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno provocato da un sinistro stradale se il Cid è generico e contraddittorio.
Quindi, l’assicurazione non è tenuta ad accettare il contenuto del Cid per come presentato dai soggetti coinvolti nell’incidente e a risarcire i conseguenti danni. Può, al contrario, sottoporre tale modulo a una verifica, ad esempio attraverso una consulenza cinematica. Tale perizia potrebbe offrire una rappresentazione degli eventi del tutto diversa da quella prospettata nel Cid. È possibile anche sentire testimoni e valutare la loro attendibilità sulla base della capacità di questi di ricostruire i singoli dettagli della vicenda.
Se dovesse risultare che i danni menzionati nel modulo sono del tutto incompatibili sia con la ricostruzione compiuta dal perito che con la dinamica del sinistro esposta dalle parti, il risarcimento può essere negato.
Come comportarsi se uno dei due automobilisti prima si dichiara collaborativo e si offre di risarcire il danno ma poi scappa e non si fa più vivo?
Che fare se l’altro automobilista non risponde? Come ottenere il risarcimento del danno in questi casi in cui, per fiducia e magari per una certa dose di ingenuità, non si è firmato un Cid? A quale assicurazione rivolgersi e come fare per dimostrare le proprie ragioni? Ecco alcuni chiarimenti pratici.
Il Cid è necessario?
Per ottenere il risarcimento conseguente a un incidente stradale non è necessario firmare il Cid. Il modulo di constatazione amichevole serve solo ad accelerare i tempi di liquidazione del risarcimento, normalmente di 60 giorni per i danni al veicolo e di 90 giorni per quelli ai conducenti e passeggeri, che diventano quindi rispettivamente di 45 e 60 giorni.
Il Cid vincola le parti: ragion per cui l’automobilista che lo firma non può poi fornire una versione diversa dei fatti. L’assicurazione tuttavia non è obbligata a dare per certa la versione dei fatti esposta nel Cid (diversamente, sarebbe facile compiere truffe ai suoi danni).
È legittimo escludere l’assicurazione in caso di incidente?
La legge non impone alle parti coinvolte in un incidente di coinvolgere le rispettive assicurazioni. Queste ben possono accordarsi tra loro per la quantificazione e successiva liquidazione del sinistro. Devono chiaramente trovare un’intesa, in assenza della quale ciascuna può rivolgersi alla propria compagnia per esporre le proprie ragioni.
È anche vero che, se il Codice civile impone di effettuare la denuncia di sinistro entro 3 giorni dall’incidente (salvo che la polizza indichi un termine superiore), è altresì principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui un’eventuale tardiva denuncia non pregiudica la possibilità di ottenere il risarcimento a meno che ciò non sia avvenuto dolosamente e l’assicurazione dimostri di averne subìto un danno.
A chi presentare la richiesta di risarcimento del danno?
La richiesta di risarcimento del danno va presentata presso la propria assicurazione che incaricherà un perito al fine di verificare i danni alle auto e un altro (un medico legale) per accertare le eventuali lesioni fisiche.
Che fare se l’altro automobilista non si fa più vivo?
È bene precisare che il comportamento dell’automobilista che, dopo l’incidente non si ferma, costituisce un illecito: amministrativo se non ci sono feriti (punito con una sanzione da 296 a 1.184 euro) e penale invece se ci sono feriti (in tal caso, scatta il reato di fuga, punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, nonché la sospensione della patente di guida da 1 a 3 anni).
Alla fuga è equiparato il comportamento di chi si ferma solo pochi minuti e poi va via senza attendere la polizia.
Diversa è l’ipotesi dell’automobilista che, si ferma, offre la propria disponibilità alla liquidazione del risarcimento “in proprio” (senza cioè coinvolgere le assicurazioni), pur senza la compilazione del Cid. In tale ipotesi, se questi non si fa più vivo e non risponde al telefono, come ci si deve comportare? È sufficiente recarsi alla propria assicurazione, come anticipato anche dopo i 3 giorni necessari alla denuncia di sinistro, e presentare la richiesta di risarcimento, esponendo tutto il fatto e la descrizione dell’incidente.
L’assicurazione effettuerà ugualmente le proprie indagini e poi liquiderà il risarcimento al proprio assicurato. Di tanto sarà informata l’assicurazione della controparte che, nel caso in cui riconosca la responsabilità del proprio assicurato di almeno il 51%, gli aumenterà la classe di merito “bonus/malus” e quindi il premio della polizza.
Dunque, è bene sapere che, anche in caso di mancata collaborazione da parte dell’altro automobilista, si può autonomamente procedere con la richiesta di risarcimento e ottenere l’indennizzo dovuto.
Che fare se non si hanno prove dell’incidente stradale?
L’assenza di testimoni per dimostrare le proprie ragioni non è ostativa all’ottenimento di un risarcimento. Le responsabilità possono essere ricostruite ex post anche attraverso le cosiddette presunzioni, ossia indizi. Si tratta, ad esempio, della documentazione fotografica, della segnaletica, delle perizie che verificano i punti di contatto tra le auto e l’entità dei danni (dai quali si possono desumere una serie di elementi come la velocità o il mancato rispetto della precedenza).
Sinistro stradale: come farsi risarcire. La denuncia di sinistro, le prove e i documenti, la richiesta di risarcimento, l’indagine e la liquidazione del danno.
A stabilire cosa si deve fare in caso di incidente sono una serie di leggi e norme sparse. In parte sono contenute nel codice delle assicurazioni, in altra parte nel codice penale ed in quello civile. Ragion per cui, non essendoci un testo unico, sarà bene spiegare, in modo pratico e schematico, cosa fare dopo un incidente, chi chiamare in caso di feriti, come comportarsi per avere il risarcimento dall’assicurazione, come provare di avere ragione e altre questioni pratiche che normalmente si pongono subito dopo un sinistro stradale e nel corso della successiva pratica di infortunistica stradale.
Per sapere cosa si deve fare in caso di incidente dobbiamo partire proprio dall’immediatezza del fatto ossia la scena dello scontro.
Come comportarsi subito dopo un incidente stradale?
Il comportamento da tenere subito dopo un incidente e le responsabilità in caso di fuga variano a seconda che vi siano o meno feriti.
In entrambi i casi, sarà necessario fermarsi per fornire all’altro conducente i propri dati personali, il numero della patente e gli estremi della propria polizza Rc-auto. Sarà opportuno effettuare delle fotografie alla strada e alle auto, avendo cura di inquadrare la scena dell’incidente sotto più prospettive e focalizzando l’obiettivo della macchina fotografica (o dello smartphone) sui punti di contatto e sui danni riportati dalle rispettive auto.
Si dovrà poi chiamare la polizia municipale o la polizia stradale. Il loro intervento è doveroso in presenza di feriti; è meno probabile quando l’incidente è minimo e non vi sono danni a persone.
In assenza di polizia, i conducenti dovranno preferibilmente redigere il Cid, anche detto «modulo di constatazione amichevole di sinistro». Non si tratta però di un obbligo giuridico, ma di un adempimento che serve ad accelerare le pratiche del sinistro. Difatti, in assenza di Cid, l’assicurazione ha 60 giorni per presentare l’offerta di risarcimento per il danno alle auto e 90 giorni per il danno alle persone; invece, con il Cid, i giorni sono rispettivamente 45 e 60.
Se gli automobilisti non hanno con sé il Cid possono ben compilare un foglio in modo autonomo, indicando le rispettive generalità, polizze e numero patente, la descrizione del sinistro, del luogo e dell’orario in cui questo si è verificato, l’indicazione della responsabilità, dei danni riportati a persone e/o a cose, la data e la firma.
Il Cid o il documento stilato dalle parti dovrà poi essere presentato all’assicurazione per effettuare la cosiddetta «denuncia di sinistro» (di cui parleremo a breve).
Quanto alle auto che intralciano la strada, laddove si tratti di un sinistro che non ha procurato danni gravi a cose e/o a persone, sarà bene sgombrare la carreggiata. Diversamente, le auto vanno lasciate dove si trovano sino all’intervento della polizia, avendo cura di posizionare il triangolo rosso a catarifrangenti ai margini della carreggiata, a non meno di 50 metri dal luogo del sinistro (la distanza sarà maggiore in caso di strade ove la velocità di percorrenza può essere elevata).
Cosa succede se una persona non si ferma dopo un incidente?
L’obbligo di fermarsi per scambiare i propri dati comporta una responsabilità: amministrativa in caso di incidente senza feriti, penale se invece ci sono feriti.
Nel caso di incidente senza feriti, chi scappa è soggetto a una sanzione amministrativa da 296 a 1.184 euro. Se però il danno procurato all’altra auto è grave può scattare anche l’obbligo di sottoporre a revisione l’auto e la sospensione della patente da 15 giorni a due mesi.
Nel caso di incidente con feriti, chi scappa può essere denunciato per il reato di fuga e rischia la reclusione da 6 mesi a 3 anni, nonché la sospensione della patente di guida da 1 a 3 anni.
L’illecito penale scatta anche nei confronti di chi, ritenendo che l’altro conducente non si sia fatto nulla, si allontana col consenso di quest’ultimo. L’obbligo di fermarsi, infatti, è rivolto a consentire l’arrivo delle autorità per la redazione del verbale.
Se le ferite sono gravi, c’è anche l’obbligo di prestare soccorso che non richiede certo di improvvisarsi medici ed eseguire manovre, ma di chiamare le autorità preposte come, ad esempio, l’ambulanza, il 118, la polizia, i carabinieri, ecc. In base al codice della strada, chiunque non ottempera all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite, è responsabile del reato di omissione di soccorso ed è punito con la reclusione da un anno a tre anni e con la sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore ad un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni.
Come ottenere il risarcimento se l’altra auto scappa?
Se l’altra auto scappa è possibile fare domanda di risarcimento al Fondo di Garanzia Vittime della Strada gestito da Consap. Per accedere al risarcimento del Fondo non è necessario sporgere la denuncia contro l’altro conducente, ma bisogna essere in grado di dimostrare che, alla luce della dinamica e dell’entità del sinistro, del luogo e delle circostanze concrete, è stato impossibile prendere il numero della targa dell’altro conducente.
Il Fondo risarcisce tutti i danni alle persone coinvolte. Invece, i danni alle auto vengono risarciti dal Fondo solo a patto che vi siano stati danni gravi alla persona e con una franchigia di 500,00 euro.
Una volta scaricato il modulo per la richiesta di risarcimento dal relativo sito, il Fondo di Garanzia nomina un’assicurazione sul luogo di residenza del danneggiato per la verifica dei danni e la materiale liquidazione del danno. Tutta la procedura è descritta sul sito di Consap, Fondo di Garanzia Vittime della Strada.
La denuncia di sinistro
Ciascun automobilista è chiamato a comunicare il sinistro, alla propria assicurazione, entro tre giorni da quando questo si è verificato, salvo un maggior termine indicato nella propria polizza. Tuttavia, il mancato rispetto di tale termine non determina la perdita del diritto al risarcimento a meno che l’omissione sia dolosa e l’assicurazione dimostri che, da essa, ne ha subìto un danno.
Per la denuncia di sinistro sarà bene presentarsi personalmente alla propria compagnia e depositare il Cid laddove redatto oppure una propria dichiarazione in cui si fornisce la propria versione dello scontro.
Nella denuncia di sinistro bisognerà indicare tutte le prove a proprio favore, compresi i nomi di eventuali passeggeri e/o testimoni.
La denuncia di sinistro deve contenere anche la richiesta di risarcimento se il conducente ritiene di essere nel giusto. Dunque, il conducente danneggiato viene risarcito dalla propria assicurazione e non da quella del responsabile: una procedura questa studiata per accelerare la liquidazione dell’indennizzo.
Il risarcimento del danno a passeggeri
I passeggeri presenti nelle due auto saranno sempre risarciti, indipendentemente dall’eventuale responsabilità del conducente nel cui veicolo si trovavano. A tal fine dovranno fare domanda all’assicurazione di quest’ultimo dimostrando i danni patiti e di essere stati a bordo del veicolo al momento dello scontro.
L’indagine dell’assicurazione e le perizie
Una volta presentata la denuncia di sinistro bisognerà attendere che l’assicurazione nomini un proprio fiduciario che valuti i danni alle auto e attesti eventuali responsabilità.
Il Cid non vincola l’assicurazione che ben potrebbe discostarsi dal suo contenuto (diversamente si incentiverebbero frodi assicurative). Esso tuttavia vincola le parti: ragion per cui l’automobilista che lo firma non può poi fornire una versione diversa dei fatti.
Il perito si mette in contatto con le parti per fissare una data in cui verificare i veicoli danneggiati. Le parti possono presentarsi anche con un proprio meccanico di fiducia al fine di controllare le operazioni.
Se ci sono stati feriti, l’assicurazione nomina un medico legale al quale bisognerà presentare tutta la documentazione attestante i postumi. A tal fine, sarà bene che il danneggiato conservi tutti i certificati medici, da quelli del pronto soccorso a quelli del medico curante. Il risarcimento verrà riconosciuto solo una volta che il proprio medico abbia emesso il certificato di avvenuta guarigione che quindi bisognerà chiedergli espressamente non appena si è completamente guariti.
L’assicurazione però è tenuta a risarcire anche eventuali conseguenze alla salute manifestatesi dopo il risarcimento che, in precedenza, non potevano essere previste.
Ai fini della richiesta di risarcimento bisognerà consegnare all’assicurazione tutti i documenti, fatture, scontrini e preventivi che attestino i danni, sia al mezzo che alla persona, affinché la compagnia formuli l’offerta di risarcimento.
L’aumento della classe di merito
L’assicurazione, a seguito delle verifiche sulle responsabilità del sinistro, applica l’aumento di due classi di merito al conducente a cui sia riconosciuto più del 50% di responsabilità (quindi anche in caso di concorso di colpa).
L’offerta di risarcimento da parte dell’assicurazione
Se l’assicurazione ritiene che il proprio cliente ha ragione, gli presenta un’offerta di risarcimento entro 60 giorni per i danni all’auto ed entro 90 giorni per i danni alla persona (che diventano rispettivamente 45 o 60 giorni se c’è il Cid).
I termini si sospendono durante l’esecuzione delle perizie.
Se il danneggiato ritiene di accettare l’offerta, firmerà l’accettazione e fornirà il proprio indirizzo per l’invio dell’assegno o l’Iban per il bonifico. Diversamente questi può rifiutare l’offerta e avviare una causa, per il tramite del proprio avvocato, per ottenere dal giudice il risarcimento effettivo.
L’assicurazione è comunque tenuta a liquidare un risarcimento non superiore al valore dell’auto al momento del sinistro, anche se il danno è maggiore.
Quanto invece ai danni fisici, questi si comporranno del lucro cessante (derivante dall’impossibilità di lavorare), il danno emergente (costituito dalla spese mediche), il danno morale (la sofferenza patita per lo scontro), il danno biologico (la diminuzione delle funzioni fisiche, sia in caso di invalidità temporanea che definitiva), il danno da “fermo tecnico” (per l’impossibilità di usare l’auto fino a quando questa rimane in officina).
Tutti i danni devono essere dimostrati dal danneggiato.
Per i danni fisici inferiori al 9%, è necessario esibire una indagine strumentale (ad esempio i “raggi X”, l’ecografia, la risonanza magnetica, ecc.) oppure un certificato medico che attesti la lesione.
Chi lo può fare e quali documenti servono. Si può riscattare in anticipo?
Il beneficiario di una polizza vita è la persona che, allo scadere del contratto o al manifestarsi dell’evento indicato, riceve quanto è stato pattuito tra il contraente (colui che attiva la polizza e che paga i premi) e la compagnia. Ma, in termini pratici, che cosa deve fare? Come riscuotere l’assicurazione sulla vita?
È fondamentale partire con questa premessa: non è detto che ad incassare sia la stessa persona che ha firmato il contratto di assicurazione e che ha pagato ad ogni scadenza la quota stabilita. Non bisogna dimenticare, infatti, che una polizza coinvolge quattro soggetti diversi sui quali non bisogna fare confusione, vale a dire:
- il contraente, che, come detto, è la persona che accende la polizza e che paga i relativi premi;
- l’assicurato, cioè il soggetto su cui si determina l’evento che dà diritto a riscuotere la polizza;
- il beneficiario, che è chi riscuote l’assicurazione;
- la compagnia assicurativa.
Lasciando per un momento da parte la compagnia, il cui ruolo appare piuttosto evidente, gli altri tre soggetti possono essere la stessa persona, possono essere due individui diversi o, addirittura, tre. Lo capiamo meglio con questo esempio.
Fabrizio stipula una polizza vita con la compagnia X e si impegna a versare i premi. Poiché il figlio Matteo fa il pilota di aereo, decide che, in caso di morte del figlio, la compagnia paghi il capitale alla vedova di Matteo, Giulia. Pertanto:
- Fabrizio sarà il contraente, perché stipula la polizza e versa i premi;
- Matteo sarà l’assicurato, perché l’evento che determina il pagamento è il suo decesso;
- la vedova di Matteo, Giulia, sarà la beneficiaria perché sarà lei a ricevere il capitale.
Che cos’è la polizza vita?
Si rende necessario, al fine di capire il ruolo del beneficiario e come può riscuotere l’assicurazione sulla vita, spiegare brevemente di che cosa stiamo parlando, cioè che cos’è questo tipo di polizza.
Un’assicurazione vita è un contratto che consente di ottenere un beneficio economico in cambio del pagamento di un premio (cioè della quota che deve versare il contraente ad ogni scadenza prestabilita) al verificarsi di un evento relativo alla vita dell’assicurato.
Esistono tre tipi di polizza vita:
- il caso vita: la compagnia paga al beneficiario il capitale stabilito o una rendita in caso di sopravvivenza dell’assicurato al momento indicato nel contratto;
- il caso morte, o polizza Tmc (Temporanea caso morte): la compagnia paga al beneficiario il capitale stabilito in caso di decesso dell’assicurato;
- la polizza mista: la compagnia versa al beneficiario una rendita o un capitale sia in caso di sopravvivenza dell’assicurato alla scadenza del contratto sia in caso di morte prima che la polizza giunga al termine. In quest’ultimo caso, i beneficiari hanno diritto a riscuotere il capitale o la rendita subito dopo l’evento.
La nomina del beneficiario nell’assicurazione vita
Dei tre tipi di assicurazione vita che abbiamo appena elencato, il più delicato è il caso morte, poiché si tratta dell’evento meno prevedibile: un infarto, un incidente stradale, una malattia con un decorso molto veloce possono causare un decesso inatteso.
In questi casi, occorre che a monte, cioè al momento di stipulare il contratto, sia stato identificato il beneficiario della polizza in modo molto specifico, con tanto di nome, cognome, codice fiscale e quant’altro. In questo modo, il beneficiario non soltanto sarà il solo ad avere il diritto di incassare il capitale o la rendita ma potrà essere anche rintracciato ed avvertito per tempo dell’evento. In caso contrario, se il beneficiario o i beneficiari vengono indicati in maniera troppo generica, partirebbe una procedura di accertamenti sugli aventi diritto destinata a finire nei meandri della burocrazia.
Da sottolineare la particolarità della polizza Temporanea caso morte: riguarda la possibilità che il decesso dell’assicurato possa avvenire entro un determinato periodo. L’esempio più classico è quello di chi accende un mutuo per l’acquisto di una casa e, per non lasciare la famiglia in difficoltà con il pagamento delle rate nel caso in cui morisse nel frattempo, decide di sottoscrivere un’assicurazione vita Temporanea caso morte che scade insieme all’ultima rata del mutuo.
Come riscuotere l’assicurazione vita?
L’assicurazione vita può essere riscossa sia alla scadenza della polizza sia, in certi casi e a determinate condizioni, in forma anticipata.
In ogni caso, il beneficiario dovrà rivolgersi alla compagnia con cui è stato sottoscritto il contratto e presentare la seguente documentazione:
- copia di un documento d’identità;
- se l’assicurato è ancora in vita, certificato anagrafico che attesta tale circostanza;
- domanda di liquidazione.
Occorrerà indicare alla compagnia anche la modalità di pagamento (bonifico bancario, assegno circolare, ecc.).
In caso di decesso del titolare della polizza, gli eredi dovranno consegnare alla compagnia la documentazione che riguarda le circostanze della morte, attraverso una dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata dal Comune di residenza ed il certificato di morte firmato dal medico. La polizza andrà a beneficio degli eredi o di chi è espressamente indicato nel contratto.
Per quanto riguarda la possibilità di riscuotere anticipatamente l’assicurazione vita, la compagnia è tenuta – se il beneficiario lo richiede ed il contratto lo consente – a liquidare al beneficiario l’importo assicurato anche prima della scadenza. Bisogna, però, tenere conto delle clausole stipulate al momento della firma. Ad esempio, la polizza vita non può essere interrotta nei primi tre anni. Occorre, quindi, attendere almeno 36 mesi (e pagare i relativi premi) prima di riscuotere anticipatamente. Nel caso del «premio unico», invece, la somma potrà essere richiesta anche dopo un anno dalla stipula.
La richiesta di liquidazione può essere presentata sia compilando un apposito modulo firmato dalla compagnia sia attraverso una domanda scritta dall’interessato in cui si riportano le proprie generalità e si specifica il motivo della richiesta. Vanno indicati anche gli estremi della polizza (data in cui è stata stipulata, numero di contratto, ecc.).
È, infine, possibile riscuotere solo una parte del capitale accumulato negli anni, a meno che questa ipotesi sia stata esclusa in partenza nel contratto.
Mediamente, il tempo necessario per riscuotere l’assicurazione sulla vita è di 30 giorni dalla data in cui è stata presentata la richiesta alla compagnia. Tuttavia, tale dettaglio deve essere indicato nella nota informativa che accompagna il contratto.
Se la scadenza per il pagamento riportata nella nota informativa non viene rispettata, cioè se il versamento avviene in data successiva, il beneficiario ha diritto agli interessi maturati nei giorni o nelle settimane trascorsi fino all’effettivo incasso della polizza